Giovanni Aloardi (1756 – 1819)

Abbondio Bagutti, Ritratto di Giovanni Aloardi, 1838

Nato a Milano, alla mezzanotte del 21 aprile 1756, da Pietro Gaspare Aloardi e Anna Beccari, venne battezzato il successivo 22 aprile nella chiesa metropolitana, con i nomi di Giovanni Carlo Gaspare Ambrogio Alessandro.
La famiglia Aloardi aveva evidentemente una solida posizione economica, poiché i quattro figli maschi furono tutti avviati agli studi: Camillo divenne ingegnere, Gaetano avvocato e Luigi ragioniere. Giovanni seguì invece la carriera ecclesiastica, con risultati davvero lusinghieri.
Superati i primi ordini minori, nel 1777 giunse al suddiaconato, ricevendo come prebenda una cappellania divisa tra la chiesa di S. Fedele e quella di S. Stefano maggiore.
Difficilmente il giovane Aloardi poté in effetti attendere ai suoi obblighi di cappellano, considerando anche il suo impegno negli studi di teologia iniziati a Pavia. Il dottorato fu conseguito poco prima della nomina a diacono, che avvenne il 19 settembre 1778. Pur risultando abitante nella parrocchia milanese di S. Stefano maggiore, il giovane chierico fu presentato al diaconato dal parroco di S. Maria Capella a Pavia, dove prestava la sua opera.
Ancor prima di poter ottenere la consacrazione definitiva, Giovanni Aloardi fu nominato canonico nella basilica di S. Babila a Milano nel giugno 1779; pochi giorni dopo ottenne anche la residenza canonicale, dopo un periodo di prova di due settimane, in considerazione della sua condizione di chierico. Dal 1782 gli atti del collegio canonicale portano la sua firma come cancelliere e dal gennaio 1791, attesa la cattiva salute del preposito di S. Babila, che non gli consentiva di sostenere la cura d’anime (riassegnata alla chiesa dopo la sospensione del 1787 in ottemperanza al “Piano per la riduzione delle parrocchie cittadine”), Aloardi venne nominato parroco, con il consenso unanime di tutto il capitolo.
Il gradino definitivo della sua carriera fu la nomina alla prepositura di S. Lorenzo maggiore: l’11 luglio 1795, entrò in possesso del beneficio in sostituzione del defunto prevosto don Antonio Airoldi. In virtù dei suoi studi teologici e giuridici, il canonico ottenne anche la carica di esaminatore prosinodale, cioè il funzionario della Curia diocesana nominato pro tempore dal vescovo, in occasione di giudizi e procedimenti verso i parroci o per i concorsi per le prebende.
Tra l’ottobre 1798 e il febbraio 1799, morirono il padre e la madre e gli eredi maschi entrarono in possesso della sostanza paterna indivisa, consistente nella casa di famiglia nella contrada del Durino e nella casa di villeggiatura, con case d’affitto, coloniche e terreni posti in Gaggiano. Alle cinque figlie (tre nubili, di cui due malate di mente e ricoverate all’ospedale della Senavra, e due sposate) toccarono invece 5000 lire ciascuna.
Luigi Aloardi comprò dai fratelli le quote della casa di via Durini e due parti dei beni di Gaggiano. Giovanni fu l’unico a conservare i beni di campagna, anche se ne affidò la conduzione al fratello.
La possessione di Gaggiano rappresenta la parte cospicua del lascito che il prevosto di S. Lorenzo volle destinare ai poveri della parrocchia; la sezione III della Congregazione di Carità assunse l’amministrazione attiva del lascito, affidando al prevosto di San Lorenzo la distribuzione delle rendite, sulla base dell’elenco dei bisognosi della parrocchia.
L’importo complessivo del lascito di Giovanni Aloardi ammontava a oltre 50.000 lire austriache. Il testatore destinò parte degli utili a sussidi per i parenti poveri: ogni anno venivano distribuite 100 lire ciascuno agli otto figli del fratello Luigi, alle due figlie dell’ingegnere Camillo, alla sorella vedova Maria e al vecchio domestico Antonio Lombardi.
Il prevosto Aloardi morì il 9 settembre 1819, nella casa canonicale di S. Lorenzo per apoplessia; i funerali furono celebrati il giorno successivo e il corpo fu tumulato nella cappella del cimitero di porta Ticinese; in memoria del benefattore fu posta una lapide di marmo nero, in cui ne venivano ricordati i meriti.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 174-175, testo di Daniela Bellettati)