Giovanni Merlo (1785 – 1849)

Gaetano Barabini, Ritratto di Giovanni Merlo, 1849

Giovanni Merlo nacque a Milano il 23 giugno 1785 da Stefano e Costanza Lombardi. “Uomo ricchissimo” – come lo definì Giuseppe De Leva, suocero del cugino paterno Antonio Merlo – abitava in contrada del Crocifisso al n. 4304.
Dalla documentazione relativa alla sua vita e alla sua famiglia emerge che Giovanni Merlo era esponente del grande ceto possidente milanese. Come infatti risulta dallo “Stato attivo e passivo” delle sue sostanze, compilato all’indomani della sua morte, Giovanni Merlo era proprietario di numerosi poderi sparsi per le campagne circostanti la città di Milano – una possessione detta del “Pilastro”, sita nei Corpi Santi di Porta Romana, di 368 pertiche; un’altra detta “La Rovesina”, nel comune di Opera, di 758 pertiche; ed ancora un’altra possessione, denominata “del Catenaccio e Bettolino” sita nei comuni di Rovagnasco e Segrate di circa 390 pertiche – affittati a diversi coloni, che gli rendevano oltre 24.000 lire milanesi “tutto compreso”, come sottolineato nei diversi atti di investitura. Le sue sostanze consistevano inoltre nei “diretti domini sopra beni nel Comune di Mainate, provincia di Pavia,  […] e sopra la casa con ortaglia detta ‘del Campaccio’, nei Corpi Santi di Porta Romana di Milano” che gli consentivano di trarre una rendita annua netta di 7.000 lire milanesi. Ma ancora la sua fortuna non si limitava ai soli beni immobili: egli era infatti titolare di ingenti crediti verso numerosi “particolari”, di cartelle del Monte Lombardo-Veneto e di cartelle del prestito della città di Milano.
Giovanni Merlo morì celibe a Milano il 3 giugno 1849 a sessantaquattro anni.
Con testamento datato 1° giugno 1849 a rogito del notaio Giuseppe Cassani, istituì erede universale senza vincolo di sorta, se non l’adempiere alle sue disposizioni, i Luoghi Pii Elemosinieri di Milano. Numerosi furono i legati da lui disposti: 150.000 lire a favore del Pio Albergo Trivulzio, da pagarsi “nel termine di due anni dopo seguita la mia morte”; 6.000 lire annue alla sorella Teresa “vita di lei durante e dopo la sua morte si pagheranno a mio nipote Antonio Porati, chimico farmacista in Varese”; 1.500 lire annue a Cristina Mozzoni, vedova di Giuseppe Merlo; e ancora 6.000 lire annue a Marietta Merlo, vedova del ragionier Carlo Merlo “vita di lei durante e dopo la morte di essa si pagheranno dalla mia eredità lire 2.000 all’anno per ciascuna delle tre di lei figlie Giuseppa, Margherita e Cristina”. Lasciò alla sua domestica un legato di 600 lire ed “il letto finito che dorme”, e non si dimenticò infine dei suoi affittuari, del suo “caffettiere”, del suo sarto, del portinaio e del suo confessore.
Nel testamento di Giovanni Merlo non furono ricordati tuttavia alcuni membri della sua famiglia che si trovavano in condizioni disagevoli. Tra questi il cugino paterno Antonio Merlo, “decaduto da uno stato comodo in quello di vero bisogno”, il quale, venuto a conoscenza della morte di Giovanni, spingeva il suocero Giuseppe De Leva a scrivere una accorata supplica all’Amministrazione dei Luoghi Pii: “disastrose vicende hanno ridotto il ragioniere Antonio Merlo a strettezza di finanza in modo che l’unico di lui figlio Giuseppe è nella lagrimevole condizione di non poter percorrere quella carriera civile a cui destinato al suo nascere con distinto profitto, attendeva”. Si voleva così ottenere una annualità vitalizia a favore del nipote diciottenne “di ottimi costumi, frequente ai Santissimi Sacramenti ed alle funzioni di Chiesa, e che tiene una condotta commendevolissima sotto ogni rapporto”.
Anche un altro cugino del benefattore, l’anziano Giovanni Carlo Merlo, residente in contrada della Guastalla al n. 103, già nel settembre del 1849 “trovandosi nella categoria dei poveri e miserabili di questa città” chiese all’Amministrazione dei Luoghi Pii Elemosinieri un sussidio mensile “onde alimentarsi nei ultimi giorni di sua vita”. Anni dopo, infine, la ormai anziana figlia di questo, Maria Merlo, che abitava in via Stella 21 e in gioventù aveva tratto “lucroso profitto dalla sua arte di stirare arredi di Chiesa”, chiese alla Congregazione di Carità un sussidio semestrale.
L’eredità di Giovanni Merlo, che dedotte le spese funerarie e mortuarie era pari a 711.043 lire, fu aggiudicata per intero ai Luoghi Pii Elemosinieri di Milano fonti con decreto 31 agosto 1849 del Tribunale civile di prima istanza di Milano.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 195-196, testo di Antonio Maria Orecchia)