Giovanni Caimi (morto nel 1483 o 1484)

Giovanni Caimi apparteneva a una nobile famiglia milanese, legata alla corte ducale. Già il padre Novello era stato referendario di Pavia nel 1430 e nel 1432 fu inviato visconteo presso il re Sigismondo di Lussemburgo, che nell’anno successivo sarebbe stato incoronato imperatore. Giovanni fu uomo di fiducia degli Sforza dalla metà del ‘400 fino alla sua morte, avvenuta probabilmente negli ultimi giorni del 1483 o ai primi del gennaio 1484.
Tra il 1450 e il 1455 fu podestà e commissario di Pizzighettone, durante l’ascesa di Francesco Sforza; fu in seguito proprio il nuovo duca a incaricarlo di curare diversi affari alla corte papale a Roma, ad assegnargli importanti missioni diplomatiche e diversi incarichi di prestigio per cui fu lungamente assente da Milano. Francesco Sforza lo nominò anche luogotenente ducale nel capitolo dell’Ospedale Maggiore, in cui sedette anche come deputato tra il 1458 e il 1460 e dopo il suo rientro in città tra il 1469 e il 1474.
Almeno dal 1473 risulta legato al luogo pio delle Quattro Marie come “scolaro residente”; partecipò infatti in quell’anno come rappresentante del luogo pio all’atto di donazione da parte del banchiere Tommaso Grassi dell’edificio in cui verranno insediate le scuole Grassi, amministrate dalle Quattro Marie. Le scuole furono aperte successivamente, dopo la morte del finanziere nel 1482; erano gratuite e riservate a 250 fanciulli poveri, meritevoli di essere seguiti negli studi.
Giovanni Caimi concluse la sua carriera di funzionario ducale con l’incarico di castellano presso il Castello di Santa Croce di Cremona, dove si insediò nel 1478. Ricopriva ancora quella carica al momento della morte.
Nel suo testamento, rogato l’8 settembre 1474 dal notaio Giuliano da Balzanio, designava come erede universale il Luogo pio delle Quattro Marie, con l’obbligo di inalienabilità dei beni.  L’usufrutto fu assegnato alla moglie, Giovanna Cipelli, mentre lasciti minori toccarono alle figlie, Prudenza e Lucrezia, e al fratello Raffaele. I nipoti e la vedova contestarono l’eredità, anche se i deputati delle Quattro Marie dichiararono che Caimi, minato dalla malattia e sentendosi prossimo alla morte, si era premurato di inviare al luogo pio un messo con la notizia delle proprie disposizioni testamentarie in favore della Scuola. Tra i discendenti e le Quattro Marie si giunse ad una transazione dopo una lunga causa legale.  Le rendite dei beni immobili, tra i quali il grande podere di Bernareggio, e dei capitali ereditati costituivano un reddito complessivo di oltre 4000 fiorini, a cui andava aggiunta una cospicua disponibilità di denaro contante, fortunosamente ritrovato sotto il materasso del defunto castellano.
Il fondo di Bernareggio, la parte più consistente del lascito, si estendeva per oltre 540 pertiche, per lo più coperte di vigneti e per una parte consistente destinate a bosco. Il podere rimase di proprietà delle Quattro Marie fino all’inizio del XIX secolo, secondo la volontà del benefattore. Fu regolarmente affittato fino al 1795 con contratto novennale e poi dal 1801 concesso a livello perpetuo.

(testo di Daniela Bellettati)