Ambrogio Griffi (1420 circa – 1493)

Agostino Santagostino, Ritratto di Ambrogio Griffi, 1681

Ambrogio Griffi, di famiglia varesina, fu uno dei medici più celebri del XV secolo, tanto da guadagnarsi, alla fine della sua carriera perfino l’epiteto di “alter Esculapius”.
Nato quasi certamente intorno al 1420, da un Giacomo Griffi mercante, egli si era addottorato in medicina a Pavia nella seconda metà degli anni Quaranta, dopodiché dal 1450 fu iscritto alla matricola dei phisici di Milano, guadagnandosi in breve una notevole fama.
Nella prima metà degli anni Sessanta egli era di fatto già entrato in stretti rapporti con la corte sforzesca, come medico di Francesco Sforza (1450-1466) e di Bianca Maria Visconti (che poi assistette anche al capezzale di morte nel 1468); in seguito rimase legato anche a Galeazzo Maria (1466-1476).
In breve Ambrogio Griffi si trovò insomma a far parte in pianta stabile della corte ducale, e questo lo pose naturalmente nella condizione di stringere rapporti importanti con le più potenti personalità politiche e culturali della Milano del tempo.
Per le sue riconosciute competenze mediche, del resto, egli fu spesso inviato dai duchi anche presso altre corti italiane (e talvolta anche d’Oltralpe) e così pure presso eminenti personalità laiche ed ecclesiastiche. Egli era una sorta di inviato di cortesia, che i duchi di Milano solevano mandare presso altri prìncipi perché li assistesse in occasione di qualche loro infermità. Ma non di rado le sue missioni implicavano anche dei compiti di natura più prettamente politico-diplomatica, che il Griffi, uomo di vasta cultura, assolveva in genere con competenza e capacità.
Nel 1471, in una di queste missioni, egli fu mandato in particolare alla corte di Roma come membro dell’ambasceria milanese incaricata di prestare l’atto d’obbedienza nei confronti del nuovo pontefice Sisto IV, ossia di quel Francesco Della Rovere, che in precedenza, quando era ancora soltanto generale dei Frati Minori, aveva avuto occasione di essere guarito proprio dal medico ducale.
Per il Griffi quell’ambasceria costituì un’occasione per annodare un rapporto destinato a dare dei frutti importanti. Presso Sisto IV si trovava del resto anche un fratello di Ambrogio: il celebre Leonardo Griffi, che era entrato alle dipendenze del Della Rovere sin dal 1467 (all’indomani della sua promozione al cardinalato), come segretario particolare. Grazie dunque alla potente protezione del fratello – che, con l’elezione del suo patrono al pontificato divenne segretario apostolico, nonché vescovo di Gubbio (nel 1472), e arcivescovo di Benevento (nel 1482) -, anche Ambrogio decise dunque, negli anni Settanta, di abbracciare a sua volta la carriera ecclesiastica.
Nel 1476 egli divenne così protonotario, e contestualmente abate di San Pietro di Lodivecchio.
Egli fu in realtà un prelato piuttosto zelante e scrupoloso, e nei limiti concessigli dai suoi impegni professionali e politici, cercò anche di risiedere presso il proprio beneficio, ove fece in effetti costruire una casa abbaziale ed ove promosse alcuni lavori nella badia.
Il Griffi era del resto certamente animato da sinceri intenti riformatori e non a caso nel febbraio del 1485 il cardinale Giovanni Arcimboldi, da poco nominato arcivescovo di Milano, gli affidò l’incarico di procedere a suo nome alla presa di possesso della Chiesa Ambrosiana. Egli inoltre ebbe anche dei forti legami col movimento dell’osservanza, e in particolare con i monaci Benedettini di San Pietro in Gessate (legati alla congregazione osservante di Santa Giustina di Padova). Proprio in San Pietro in Gessate Ambrogio volle anzi fondare negli anni Ottanta una celebre cappella sepolcrale (dedicata per l’appunto a Sant’Ambrogio), che venne poi decorata da Benedetto Briosco e affrescata da Bernardino Butinone e Bernardo Zenale.
La decisione di farsi chierico non compromise comunque i rapporti del Griffi con il regime sforzesco. Nel 1477, ad esempio, egli ricevette da Bona di Savoia il dono di una casa in Porta Ticinese, nella parrocchia di San Giovanni sul Muro (ove creò anche un proprio studio), e inoltre ebbe anche la titolarità della honorantia platee Arenghi; mentre nel novembre del 1479 venne per contro nominato consigliere segreto ducale.
Certo i suoi rapporti assai stretti con Bona di Savoia gli provocarono qualche noia quando la duchessa (alla fine del 1480) venne definitivamente estromessa dal potere ad opera di Ludovico il Moro. Non per nulla nel 1481 il Griffi venne addirittura sospettato di aver preso parte ad un complotto ordito da Bona per l’avvelenamento del cognato. Le accuse contro di lui non ebbero però alcun seguito particolare, così come non lo avevano avuto, anni prima, le voci sulle sue presunte corresponsabilità nella morte di Bianca Maria Visconti (morte che taluni insinuarono essere stata in realtà provocata dal figlio Galeazzo Maria, proprio per il tramite di Ambrogio Griffi).
Insomma, al di là di questi sospetti (tipici di un’epoca particolarmente ossessionata dalla paura dei veleni), la posizione del Griffi a Milano rimase quella di una personalità di prestigio, come prova del resto anche il fatto che, nel corso degli anni Ottanta, Ambrogio prese stabilmente dimora nel castello di Porta Giovia, con l’altisonante titolo di archiatra ducale. Anche l’ambìto conseguimento del privilegio della cittadinanza milanese, nel gennaio del 1487, attesta del resto come sotto il governo del Moro il Griffi continuasse a godere della sua tradizionale influenza.
Infine in data 4 settembre 1489, Ambrogio Griffi fece testamento. Egli istituì dei legati a favore della Fabbrica del Duomo, dell’Ospedale Maggiore di Milano, dei poveri di Varese, nonché dei conventi dei Domenicani osservanti di Santa Maria delle Grazie e dei Francescani osservanti di Santa Maria degli Angeli, dei monasteri di San Pietro in Gessate e di San Pietro di Lodivecchio, e delle chiese di San Vittore di Varese e di Santa Maria del Monte. Indicò quindi come propria sepoltura la cappella da lui fondata in San Pietro in Gessate e dispose inoltre la fondazione di un Collegio in Pavia da intitolare alla famiglia Griffi, e destinato a mantenere agli studi 6 o 8 universitari provenienti da Varese (il suo borgo d’origine) e da Lodi.
Per il resto, non avendo discendenti diretti, egli designò quale proprio erede universale il Consorzio della Misericordia, pur lasciando tuttavia dei cospicui legati anche ai nipoti Giannettino, Giacomo e Camillo, che erano figli di due suoi fratelli già deceduti (e cioè Giovanni Francesco e Gregorio). Senza discendenza erano invece rimasti, a quanto sembra, gli altri quattro fratelli di Ambrogio: vale a dire Girolamo, Agostino, Giovanni Battista e il già ricordato Leonardo. Quest’ultimo in particolare era morto a Roma nel 1485 (e Ambrogio e gli altri suoi fratelli avevano poi provveduto a far edificare in sua memoria l’oratorio di San Leonardo presso la chiesa di San Giovanni sul Muro a Milano). Quanto ad Ambrogio, egli morì invece il 13 novembre del 1493. Il Consorzio della Misericordia ereditò il grosso del suo patrimonio, comprendente tra l’altro alcune case a Milano e proprietà fondiarie a Missaglia, Vimercate, Varese ed altrove.

(da Il tesoro dei poveri, p. 86-87, testo di Francesco Somaini)