Gerolama Croce Sansoni (morta nel 1622)

Pittore lombardo, Ritratto di Gerolama Croce Sansoni, secondo quarto del XVII secolo

Di Gerolama (o Geronima) Croce, vedova Sansoni, non conosciamo la data di nascita e scarne sono le notizie che riguardano la sua esistenza. Sappiamo che Gerolama fu figlia di quel Luigi della Croce giureconsulto collegiato, definito podestà di Milano a partire dal 1564 “per tre bienni, poi d’Alessandria e Como”, sicuramente identificabile con il Luigi della Croce che morì nel 1592 e, oltre ad avere retto le podesterie di cui s’è detto, andò a Madrid per conto della città di Milano nell’aprile del 1576. Costui fu membro, si potrebbe dire, di una generazione felice per ingegno e per ricchezza, avendo per fratelli Barnabò “fisico collegiato di Milano e dottore in ambe le leggi” e Giovanni Angelo anch’egli celebre legista. I tre fratelli della Croce, figli di Cristoforo, legista e abate del collegio dei notai, ma anche mercante di panni lana, poterono profittare del regime di condivisione e amministrazione congiunta dei beni che caratterizzava ancora, nella seconda metà del Cinquecento, il regime patrimoniale di molte famiglie lombarde. Ad un certo punto però, per evitare l’ulteriore parcellizzazione del patrimonio i tre fratelli decisero di redigere di comune accordo un testamento in cui si prevedevano precise linee di successione interne alle tre discendenze qualora una di esse fosse rimasta senza eredi, fatto questo di cui, come vedremo, rimasero tracce e ripercussioni anche al tempo di Gerolama. Ciò che interessa ora è segnalare che il ramo dei Della Croce che a metà Seicento entrò per la prima volta nel decurionato, acquisì il feudo di Magnago su cui poté essere appoggiato il titolo di conte nel 1652 e poi acquistò i feudi di Vanzaghello e Malvaglio cui era annessa la località della Tinella nella pieve di Dairago (già di proprietà dei della Croce alla fine del Cinquecento), fu il ramo procedente non da Luigi padre di Geronima, ma da Barnabò fisico collegiato.
Gerolama, probabilmente intorno al 1570, si sposò con Giovanni Francesco Sansoni, figlio di Bernardo, erede di cospicue proprietà per parte dello zio e dedito all’attività feneratizia. Osservando il quadro che la ritrae (e che probabilmente fu dipinto tra 1625 e 1650, quindi dopo la sua morte) Gerolama ci appare giovanissima, probabilmente tra i quindici e i vent’anni, lo sguardo fisso e malinconico, riccamente vestita e ornata, forse in abito nuziale, con una rosa stretta tra l’indice e il pollice della mano destra, in un gesto quasi misteriosamente allusivo: certo la vita di Gerolama, per quel che ci appare dai pochi dati reperibili fu, come la rosa, irta di spine. Se le ipotesi qui formulate sono esatte Gerolama nacque tra 1550 e il 1555, sicuramente ebbe un figlio maschio, Baldassarre che nel 1592, alla morte del nonno Luigi della Croce fu nominato erede universale delle sue sostanze. Il 22 ottobre 1592, in qualità di “matre tutrice et curatrice” del figlio, che dunque presumibilmente a quella data era ancora minore, Gerolama già vedova, stipulò i diversi instrumenti di “apprensione” e poi affitto delle proprietà poste in località Tinella. Ma il figlio Baldassarre probabilmente morì giovanissimo: il 22 febbraio 1595 fece testamento, nominando la madre quale propria erede universale e disponendo di essere sepolto nella Chiesa di Santa Maria alla Scala nel sepolcro dei suoi avi; il secolo stava finendo e Gerolama si trovava ormai sola, stretta dalla necessità di amministrare un patrimonio cospicuo e variegato, composto non solo dalle proprietà ereditate dal padre per conto del figlio, ma anche quelle che al marito erano giunte da parte dello zio Sansoni. I lunghi anni che le restarono (morì nel 1622) furono così, per forza di cose, caratterizzati da un turbine di attività frenetiche per svolgere le quali Gerolama non sembra esser stata limitata dal fatto d’essere “noscentis scribere”. D’altra parte è noto che l’analfabetismo femminile, anche in ambienti socialmente elevati, non costituiva un fatto inusuale tra Cinque e Seicento, quando non era previsto che le donne compissero un percorso di formazione analogo a quello conosciuto per i maschi, il che comunque, almeno nel caso di Gerolama, non escluse totalmente la possibilità di essere parte attiva dell’amministrazione del patrimonio di famiglia. La della Croce Sansoni sicuramente si avvalse, almeno nell’ultima parte della propria vita, della collaborazione del nipote Giovanni Paolo della Croce che spesso firmava i documenti per conto della zia.
Sin dai primi anni del Seicento, in seguito ad una serie di successive morti, le disposizioni fidecommissarie attuate da Luigi, Barnabò e Giovanni Angelo imposero la ricomposizione del patrimonio familiare e nel 1606 Gerolama dovette consegnare al nipote Odoardo, figlio dello zio Barnabò, i beni di Bienate vincolati dal genitore. Fu soltanto la fine della prima battaglia di una lunga guerra, ampiamente documentata, che Odoardo della Croce portò avanti anche dopo la morte della zia contro il Luogo pio Quattro Marie designato da Gerolama nel 1618 quale erede universale delle proprie sostanze. Ma prima di quella data la vedova Sansoni appare protagonista di una serie di vendite di terreni e proprietà in località di Limido di cui beneficiò don Flaminio Crivelli, la cui casa confinava con quella abitata dalla Croce Sansoni, e la cui famiglia fu molto attiva nell’attività feneratizia e riuscì ad ampliare il proprio patrimonio fondiario proprio attraverso il recupero dei crediti. Gerolama inoltre, in attesa di riscuotere i propri crediti, ottenne nel 1612 dal Crivelli pure un prestito in danaro. Non sono chiari i motivi di tale prestito, ma questo fatto, unito con le vendite di proprietà, realizzate senza interruzioni soprattutto nel periodo 1612-1618, farebbe pensare che il patrimonio ereditato da Gerolama si andasse assottigliando: significativo pare che nel 1620, il 29 luglio, donna Croce Sansoni avesse stipulato con il Luogo pio delle Quattro Marie una convenzione con la quale il medesimo luogo pio chiedeva ed otteneva da Gerolama una riduzione degli oneri predisposti nel testamento della testatrice, presumibilmente perché andavano diminuendo le sostanze che costituivano il lascito complessivo. Si può pensare che in ciò sia stato giocato un ruolo rilevante da parte della causa in atto col nipote Odoardo che mirava, come s’è detto, ad ottenere la ricomposizione del patrimonio della Croce e per ottenere quanto di sua spettanza mantenne viva la lite con la zia Gerolama e soltanto tra 1629 e 1641 riuscì a farsene riconsegnare una parte dal Luogo pio delle Quattro Marie che di Gerolama era diventato l’erede universale.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 164-165, testo di Cinzia Cremonini)