Giovanni Ambrogio Melzi (1581 – 1637)

Giacomo Antonio Santagostino (attribuito), Ritratto di Giovanni Ambrogio Melzi, quinto decennio del XVII secolo

I Melzi, o Malingegni, le cui origini sono incerte, si stabilirono a Milano in epoca medievale svolgendo l’attività di mercanti di drappi lana, commercio nel quale essi si specializzarono nei secoli successivi, specie nel settore auroserico. Nel 1470 essi avevano raggiunto indubbiamente una certa importanza entro le istituzioni comunali: Stefano Melzi fu eletto tra i rappresentanti della città di Milano ai quali era affidato il compito di sottoscrivere un atto in cui la comunità cittadina prestava «fidelitas et homagii juramento» a Galeazzo Maria Sforza Visconti.
In epoca successiva essi, aderendo a una moda affermatasi nel corso del XVI secolo, per “purificare” le loro origini, collegarono queste a un capostipite che sarebbe stato un castellano spagnolo del regno delle Asturie, o del Friuli, o un cavaliere al seguito dell’imperatore Federico I Barbarossa, il quale dopo avere espugnato la città di Melzo ne assunse il nome.
Questo interesse per le proprie radici si accrebbe nel corso del cinquecento, quando la casata riuscì ad emergere nell’ambito mercantile fino ad ottenere il titolo nobiliare. A base di questa ascesa fu la frenetica attività di Agostino Melzi (1537-1611), padre del nostro benefattore.
Egli era figlio naturale del mercante auroserico Cristoforo e venne riconosciuto e legittimato nel 1562 assieme ai fratelli Cesare e Giulia; tale atto fu fortemente voluto dal padre, che prima di ottenerlo si era visto costretto a redigere un testamento a favore dei cugini Giovanni Battista e Giovanni Antonio, quest’ultimo darà vita poi al ramo dei Melzi conti di Trenno dal 1660. Fu così che i figli poterono essere ammessi a pieno titolo nell’impresa di famiglia, riuscendo negli anni successivi a svilupparne le attività ben oltre la semplice mercatura tessile. Il notevole sviluppo dell’azienda familiare avvenne proprio grazie alle capacità imprenditoriali di Agostino che diversificò gli investimenti oltre che nel settore auroserico, anche in quello del cambio di oro, di argento e di valute e in quello del prestito, operando oltre che in Lombardia, anche in Austria, Germania, Polonia, Pannonia, cioè i territori compresi tra la costa dalmata e il Danubio, e Ungheria.
Gli scambi con l’Europa centro orientale costituirono negli anni successivi il fulcro dell’economia familiare, come provano i numerosi atti notarili stipulati da Agostino e dai suoi figli, per la formazione di varie compagnie con altri mercanti italiani, in buona parte lombardi, anch’essi operanti sulle piazze dell’Impero e degli stati con esso confinanti; tra le famiglie in stretto rapporto con i Melzi che avevano interessi finanziari e mercantili a Vienna, settore poco studiato per il XVI – XVII secolo, si possono citare: gli Adobati, i Croce, i Ferrero, i Ghiringhelli, gli Ossi, i Pecchio, i Pestalozzi, i Rivolta, gli Stampa, gli Zanelli o Azanelli. La necessità di seguire adeguatamente le operazioni finanziarie e le transazioni commerciali in questi territori convinse poi Agostino ad acquistare, nel 1581, un edificio a Vienna.
Benché le attività in area imperiale assorbissero buona parte delle risorse familiari, egli si preoccupò tuttavia di coltivare adeguatamente anche quelle già avviate nel Milanese, tanto che nel 1578 sottoscrisse una convenzione con alcuni mercanti per impiantare uno stabilimento tessile. Il suo attivismo entro il Collegio dei Mercanti del capoluogo ebbe riconoscimento nell’elezione a Priore nel 1589, e, nel 1599, fondò una seconda fabbrica per la lavorazione dei tessuti auroserici.
Agostino sposatosi con Bianca Caravaggio mise al mondo una numerosa prole: Pietro Francesco, Giovanni Ambrogio, Cristoforo, Vincenzo, Angelo, Paolo Gerolamo, Francesca, sposatasi Pisani, Margherita, sposatasi Nava, Laura, sposatasi Miglio, Claudia Caterina, Daria e Ortensia: queste ultime tre furono tutte monacate in San Bernardino, rispettivamente coi nomi di Perpetua Corona, Alma Pompilia e Bianca Maria.
Al momento della morte del Melzi, avvenuta nel 1611, i figli erano ormai pienamente inseriti entro le attività familiari: Giovanni Ambrogio e Cristoforo nella sede di Milano e Pietro Francesco e Angelo in quella di Vienna, mentre Paolo Gerolamo, ancora minorenne, all’inizio fu affidato alla tutela dell’allora Priore del Collegio dei Mercanti Giuseppe Caravaggio, orafo e mercante legato alla casata, e risiedette fino ai diciotto anni a Milano, ma poi rimase dal 1616, tranne una breve interruzione di un anno nel 1617, a Vienna. L’unico a intraprendere la carriera ecclesiastica fu Vincenzo, il quale entrò nell’ordine cistercense presso il monastero di Sant’Ambrogio Maggiore, seguendo le orme dell’illustre parente Camillo (1590-1659) che, dopo avere studiato presso i gesuiti e intrapreso la carriera curiale, venne eletto arcivescovo di Capua e ricoprì numerosi importanti incarichi, tra cui quello di nunzio apostolico a Firenze.
I figli, che si presero carico dell’azienda paterna ricevettero in eredità un capitale di 50.000 lire a testa, ma tra il 1615 e il 1616 Cristoforo, che nel frattempo si era sposato con Laura Rainoldi, decise di ritirarsi dalla società con i fratelli e cedette loro la sua quota in cambio di 70.892 lire, che investì in alcune speculazioni legate al prestito di denaro e agli appalti per la fornitura delle corde per archibugio a tutta la provincia di Cremona e per la riscossione dei carichi militari legati ai presidi di Alessandria e di Mortara. Dopo il suo abbandono gli altri due fratelli, Pietro Francesco e Giovanni Ambrogio, fondarono una compagnia commerciale con capitale ammontante a 200.000 lire, di cui 120.000 dovevano essere investite in Lombardia e le rimanenti a Vienna e negli altri paesi dell’Europa orientale. Seguendo le orme paterne, essi coltivarono attentamente anche le attività civiche e politiche legate ai luoghi di residenza: Giovanni Ambrogio, che si sposò con Cornelia Pallavicini, fu uno dei LX decurioni di Milano, mentre suo fratello a Vienna venne nominato cavaliere e poi consigliere aulico.
Nel 1620-21 l’avventura dei Melzi nei territori legati alla corona austriaca giunse al culmine e, allo stesso tempo, alla fine: difatti in questi due anni Angelo e Paolo Gerolamo morirono, mentre Pietro Francesco, ormai affermato ufficiale di corte, venne inviato a Milano in qualità di Residente imperiale; dopo questi eventi e forse anche a causa della guerra dei trent’anni, non si hanno più notizie riguardo alle attività finanziarie in area tedesco-slava. Ciononostante questa avversità venne compensata dalla nomina dei fratelli sopravvissuti a nobili dell’Impero, avvenuta con patenti rilasciate il 15 febbraio 1622.
Giovanni Ambrogio impiegò in questi anni i suoi capitali, così come aveva fatto Cristoforo, morto nel 1631, dal quale aveva ereditato numerosi crediti, nell’attività di prestito sia a privati, sia a enti pubblici. In particolare, poiché nel 1636 la Spagna dovendo affrontare un notevole sforzo bellico, al fine di reperire i fondi necessari alla guerra, aveva deciso di chiedere ai privati cittadini un prestito di 50.000 ducatoni, con promessa della restituzione delle somme impegnate con un interesse dell’8% annuo, il Melzi ritenne di impegnarvi 7.475 lire.
All’inizio dello stesso anno il fratello Pietro Francesco morì senza mai essersi sposato, benché legato a una spagnola residente a Milano, certa Francesca Cevalios, dalla quale aveva avuto due figli, mai riconosciuti, e posti in un convento di Crema.
Pochi mesi dopo anche Giovanni Ambrogio, che nel frattempo era stato eletto Priore della Camera dei Mercanti, si ammalò e, non avendo eredi diretti ed essendo Vincenzo ecclesiastico, decise di destinare le sue consistenti fortune alla fondazione di un luogo pio, che prendesse il nome della famiglia e nel cui collegio direttivo avrebbero dovuto sedere dei rappresentanti della stirpe dei Melzi–Malingegni (cioè i discendenti dei cugini Gian Antonio e Giambattista). Di conseguenza il 29 aprile 1636 egli convocò i testimoni e il notaio per redigere il testamento, in cui diede indicazioni precise riguardo alla cerimonia funebre, alle messe in suffragio della propria anima e ai lasciti ai congiunti più stretti, tra cui i figli delle sorelle, il fratello superstite e la moglie, alla quale lasciò un terzo di tutti i suoi beni e una pensione di 4000 lire annue a condizione di non passare a nuove nozze; ma la Pallavicini, pochi anni dopo la morte del Melzi, avvenuta il 15 marzo 1537, contrasse matrimonio col marchese Giovanni Acerbi e intraprese una lunga lite con l’appena sorto Luogo pio Melzi, riuscendo ad ottenere che «resti specificatamente dichiarato che maritandosi resti la Signora Cornelia resservata la facoltà di poter usare del legato fattogli … [anche se] si rimaritasse una e più volte»; tuttavia nel suo testamento del 20 ottobre 1648 ella designò suo erede universale l’istituto fondato dal marito e suo esecutore Vincenzo Melzi.

(da Il tesoro dei poveri, p. 157-158, testo di Giorgio Dell’Oro)