Francesco Pecchio (morto nel 1733)

Pittore lombardo, Ritratto di Francesco Pecchio, quarto decennio del XVIII secolo

Figlio di Cesare e Barbara Villa, Francesco Pecchio era membro di una importante famiglia patrizia milanese, ascritta all’ordine decurionale sin dalla metà del XVI secolo che nel 1718 venne insignita dall’imperatore Carlo VI del titolo nobiliare: in seguito al Cesareo Reale Privilegio del 20 aprile Francesco acquistò infatti, “per sé, suoi figli, eredi e successori primogeniti maschi sino in infinito” il titolo di conte.
Già possessore di un ingente patrimonio immobiliare – quale una casa da nobile, sua residenza con corte, scuderia, rimessa per carrozze e giardino, posta in Porta Comasina parrocchia di San Carpoforo; quattro case in porta Orientale, altre due case, una in porta Marcellino “ove si eserciva l’osteria dell’Orso” e un’altra nella parrocchia di San Carpoforo con tre botteghe tra cui l’osteria della Navetta; oltre a diverse case da massaro e terreni situati nelle comunità di Cassina Amata, Senago, Cassina Nuova, Villa Pizzone – nel 1695 Francesco venne nominato erede da Giovanni Pecchio, zio paterno. Tale eredità consisteva in tutti i beni mobili e immobili che il testatore possedeva nelle terre di Palazzolo, pieve di Desio, di Cassina Amata, Cassina Nuova e Senago, pieve di Bollate. La sua già ingente fortuna venne ulteriormente accresciuta in seguito al matrimonio da lui contratto con Girolama Pionni: la famiglia della sposa si impegnò infatti a versare oltre cinquantamila lire di dote; somma che tuttavia non venne mai interamente saldata. Come emerge da un passo dell’ultima copia del suo testamento risalente al 1730, Francesco condonava infatti ai fratelli della defunta consorte “il credito […] de dodecemmille lire per residuo di dote”.
Già deputato del Luogo pio della Beata Vergine Maria dell’Abito del Carmine, dal 1705 al 1729 fu anche amministratore e deputato della Congregazione di Nostra Signora di Loreto di Milano, “posta vicino la Chiesa di San Fedele”, a favore della quale “per il soccorso de poveri vergognosi” dispose quattro cospicue donazioni: la prima del 1705 di 25.000 lire, la seconda nel 1718 di 24.000 lire, la terza e la quarta nel 1729 e 1730, pari rispettivamente a 21.157 e 17.500 lire, per una somma totale di oltre 135.000 lire.
Privo di eredi e conscio dell’immensa fortuna di cui era titolare, Francesco Pecchio, “non volendo passare da questa a miglior vita senza disporre delle mie cose” fece tre diversi testamenti – il primo il 19 novembre 1699, il secondo il 17 settembre 1710 e il terzo l’11 aprile 1715 – oltre ad un codicillo del 17 maggio 1720, che vennero tutti annullati dal testamento disposto il 2 ottobre 1730 e dal codicillo di tre anni successivo, entrambi rogati dal notaio di fiducia Giovanni Maria Valera.
Dopo aver affermato di voler essere sepolto presso la Chiesa dei Padri del Carmine ed essere “accompagnato da quaranta Sacerdoti, cioè venti Regolari Carmelitani e venti Sacerdoti Secolari, e nel rimanente con quella pompa che stimerà propria l’infrascritto mio erede” e aver disposto numerosi legati a favore di diversi luoghi pii – tra i quali quello della Beata Vergine Maria dell’Abito del Carmine di cui era deputato, e la Scuola del Santissimo Sacramento della Chiesa di Sant’Ambrogio di Cassina Amata – e del personale al suo servizio; e dopo aver condonati i crediti che teneva verso numerosi privati e soprattutto verso i massari e pigionanti alle sue dipendenze, nominava erede universale di tutte le sue sostanze la Congregazione di Nostra Signora di Loreto, con l’obbligo di convertire le rendite dei suoi beni, di cui proibiva la vendita, in sussidi a famiglie nobili e di mercanti decadute.
Particolare riguardo veniva infine riservato al notaio Giovanni Valera: “e perché desidero di gratificare in qualche parte l’amorevole assistenza che da molti anni a questa parte ha sempre prestato ne miei interessi” – dettava Francesco Pecchio – “così prego con la più calorosa et efficace istanza detta mia Erede e per essa li Signori Prefetto e Deputati per tempo della medesma, che mancando da questa vita il dottor Francesco Gentile Sindaco e Cancelliere della detta Veneranda Congregazione di Santa Maria di Loreto di Milano allora in tal caso […] si compiacciano eleggere in Sindaco e Cancelliere lei Notaro dottore Gio Maria Valera” con l’obbligo di corrispondergli lo stesso salario e gli stessi onorari che si usavano attribuire a chi ricopriva tale carica. E infine, qualora ciò non  fosse stato possibile, ordinava al logo pio, suo erede, di versare al notaio Valera, come legato annuo, una somma di 800 lire imperiali.
Il conte Francesco Pecchio morì  a Milano il 6 marzo 1733.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 149-151, testo di Katia Visconti)