Giovanni Battista Bianconi (morto nel 1731)

Pittore lombardo, Ritratto di Giovanni Battista Bianconi, 1732

Figlio di Giovanni Stefano e Margherita de Castelmonte, Giovanni Battista Bianconi era l’ultimo discendente di una antica famiglia di notai, originaria di Caglio – comunità posta sul versante destro della Valsassina, a nord-ovest della vicina città di Como. I Bianconi a partire dalla seconda metà del secolo XVI, pur mantenendo stretti contatti e consistenti interessi economici nel paese d’origine, si erano insediati a Milano in contrada di Porta Vercellina, parrocchia di San Giovanni sul Muro.

Ancora giovane Giovanni Battista si ritrovò proprietario di un non trascurabile patrimonio immobiliare: nel 1677, con il fratello Bernardo, veniva infatti nominato dal padre erede universale di tutte le sostanze familiari: si trattava di stabili rustici e una “grande” casa colonica con fondi e vigne per un totale di circa 200 pertiche a Caglio, di un’altra casa colonica con annessi terreni a Baggio, di altri beni fondiari a Cesano Boscone, e ancora di fabbricati e piccoli appezzamenti di terra in Milano presso la parrocchia di Santo Stefano, di cui i due fratelli, l’anno seguente, incominciarono a disporre autonomamente “senza l’ausilio di procuratore né di tutore”. La gestione “collettiva” dell’eredità paterna ebbe tuttavia breve durata poiché nel 1679 Bernardo, deciso ad abbracciare la vita religiosa, donò tutti i suoi beni al fratello.

Le “fortune” di Giovanni Battista Bianconi erano destinate a moltiplicarsi in seguito al matrimonio da lui contratto con Maria Caterina Verdesio, figlia di Giacomo e di Maria Cossa. L’improvvisa scomparsa, avvenuta nell’inverno del 1680, di Giacomo Verdesio aveva spinto la moglie, nominata tutrice della prole e curatrice del patrimonio familiare che passava ai figli maschi minorenni, ad accasare la figlia quindicenne: già nel novembre del 1681, con una dote pari a 6600 lire da saldare entro cinque anni. Maria Caterina andò sposa a Giovanni Battista e da quel momento il destino del Bianconi, ultimo discendente del suo casato, si scoprì strettamente legato a quello della famiglia Verdesio la quale, data la propensione dei suoi maschi a “bussare alle porte del noviziato”, si ritrovò ben presto senza eredi.

Mentre Giovanni Battista e la moglie si stabilivano nella casa di via Meravigli, “nella quale avrebbero fatto a gara con la madre [di lei] in spese di abbellimento e restauri”, i fratelli di Maria Caterina, Angelo Maria e Francesco Antonio, ufficializzata la volontà di abbracciare la “Sacra Religione de Carmelitani Scalzi”, prima di “morire al secolo” esprimevano le loro ultime volontà e donavano alla madre e ai coniugi Bianconi tutti i loro beni e crediti. E ancora nel 1698 Maria Cossa Verdesio, dopo un lungo ed accorato elogio per “l’amatissimo” genero, nominava erede universale dei suoi capitali, crediti, beni mobili e immobili la figlia “Maria Caterina Verdesia maritata Bianconi”.

In poco meno di vent’anni Giovanni Battista si ritrovò quindi, direttamente o indirettamente, titolare della cospicua fortuna, consistente in numerosi crediti, vasti appezzamenti di terreni e fabbricati rurali situati in Milano e nelle pievi adiacenti alla capitale, che Giacomo Verdesio era andato accumulando nel corso della sua breve ma intensa vita.

Nel 1730, a un anno dalla morte, Giovanni Battista, oramai anziano e senza eredi, dettava le sue ultime volontà: dichiarava usufruttuario di tutte le sue sostanze il fratello “reverendo padre don Placido religioso professo nel venerando monastero di San Pietro in Gessate di Milano” e istituiva erede universale il Consorzio della Misericordia con l’obbligo di erogare annualmente due coperte di lana alle povere nubili di Baggio e lire 24 in sussidi alle vedove della stessa località. Infine disponeva numerosi piccoli legati a favore delle persone che più gli erano state vicine – i fratelli della defunta moglie, carmelitani scalzi, ma anche dipendenti e collaboratori – e obbligava l’erede “a pagare al Venerando Ospitale Maggiore di Milano lire 600 imperiali per una volta tanto, subito dopo mia morte, come pure a pagare al Venerando Luogo Pio della Stella di questa città altre lire 600 imperiali parimenti per una volta tanto subito dopo mia morte”.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 106-108, testo di Katia Visconti)