Paolo Camillo D’Adda (morto nel 1713)

Carlo Antonio Zucchi, Ritratto di Paolo Camillo D’Adda, 1713

Figlio di Ludovico (che era stato sergente maggiore della Milizia Urbana nonché membro dei XII di Provvisione nel 1645) e di Anna Pozzi, Paolo Camillo d’Adda faceva parte di un ramo cadetto della linea che nel 1682, con Giuseppe, ottenne i titoli di marchese, conte e libero barone del Sacro Romano Impero. L’ingresso nella vita pubblica di Paolo Camillo, di cui non conosciamo la data di nascita e neppure dettagli sulla formazione, ma solo notizie riguardanti i suoi incarichi, pare essere avvenuto proprio nel 1675 alla fine cioè di quel periodo in cui, sotto la Reggenza di Marianna d’Austria, aveva avuto luogo nello Stato di Milano la massiccia vendita di questorati dei Magistrati delle Entrate da parte del Consejo de Italia che in tal modo aveva cercato di raccogliere danaro per sostenere le ingenti spese indotte dalla rivolta di Messina. Ma la carriera del nostro, avviatasi dunque all’inizio del regno di Carlo II, non sembra aver avuto implicazione alcuna con il fenomeno della venalità delle cariche regie, poiché pare esser stata giocata tutta nell’ambito cittadino. Infatti, a parte il grado di sergente maggiore in cui Paolo Camillo fu inserito, come il padre, nella Milizia Urbana, lo troviamo nel 1675, appunto, come giudice della Legna nel Tribunale di Provvisione. Sappiamo poi che nel 1691, quale signore di cappa e spada, quindi membro non togato, diventò uno dei conservatori del Patrimonio: così per il D’Adda l’ultimo decennio del Seicento si apriva con l’ingresso nella cuspide del potere civico, cioè in quella Congregazione del Patrimonio, appunto, che insieme col Vicario di Provvisione prendeva le decisioni più importanti concernenti l’amministrazione pubblica di Milano, e si incaricava pure di rappresentare gli interessi della città presso il governatore o addirittura il potere regio a Madrid, ad esempio tramite la nomina degli agenti da inviare nella capitale spagnola. Particolarmente significativo doveva essere nel 1691 l’ingresso in tale sfera perché proprio in quell’anno a Milano era venuto a maturazione il conflitto sorto con il governatore in carica dal 1686, il conte di Fuensalida, conflitto innescato dalle Congregazioni dello Stato e del Patrimonio che erano riuscite a far allontanare il rappresentante del sovrano, accusandolo ripetutamente di gonfiare le spese dell’esercito e di connivenza col ceto militare. Il pericoloso contrasto aveva trovato una prima ricomposizione nella nomina di un nuovo governatore nella persona del marchese di Leganés, discendente di un governatore della prima metà del Seicento il cui operato veniva ancora ricordato molto positivamente, e soprattutto nell’elezione ad interim di un nuovo gran cancelliere, il marchese Giorgio Clerici il quale, a parte la solida formazione giuridica, vantava alcune peculiarità significative: l’essere “naturale” dello stato, vale a dire non spagnolo, l’appartenere ad una casata di recente nobiltà, ma già arrivata al culmine della scalata sociale, l’essere in possesso di due future successioni sulle presidenze delle magistrature di nomina regia più importanti dello Stato, quella del Senato o del Magistrato Ordinario, la prima che si fosse resa vacante. Si deve anche alla mediazione di un uomo potente come il Clerici, prima gran cancelliere (1691-1695), poi presidente del Magistrato Ordinario (dal 1695 al 1716), se, nel corso dell’ultimo decennio del Seicento faticosamente ma significativamente, riuscì a ricomporsi il grave dissidio prima ricordato. In questa congerie di tempo dunque si trovò ad operare Paolo Camillo d’Adda quale conservatore non togato della Congregazione del Patrimonio: in questa atmosfera politico-istituzionale egli, nel 1697, entrò nel Consiglio decurionale, mentre già dal 1692 era cancelliere segreto dei Sessanta decurioni, ruolo che mantenne fino al 1700. Nel 1698 fu estratto a sorte con altri cinque cavalieri non togati del Consiglio Generale per andare insieme con il vicario di Provvisione Giovan Angelo Moriggia dal governatore Leganés a congratularsi della pace firmata all’Aja tra il re di Spagna e il re di Francia, con la mediazione del re di Svezia. Il d’Adda fu pure nominato il 9 agosto 1698 governatore del Banco di Sant’Ambrogio, altra carica di fondamentale importanza nell’ambito della finanza cittadina, in sostituzione del marchese Secco d’Aragona. Nel 1704 (il 23 dicembre) fu eletto tra i cinque “aggiunti” alla Congregazione del Patrimonio. Non si sa per quale motivo abbia rinunciato nel 1709 al seggio decurionale. Morì nel 1713, senza essersi mai sposato e senza prole, lasciando erede universale con testamento nuncupativo redatto il 15 aprile 1712 il Consorzio della Misericordia, di cui tra l’altro era sin dal 1676 uno dei deputati. Le disposizioni testamentarie che rendevano nulle quelle precedenti, del 1705, non furono accettate di buon grado dai parenti, non tanto dal fratello abate don Costanzo, usufruttuario, e dalla sorella Maria Onoria (per la quale veniva disposto un vitalizio, esteso anche al figlio Francesco Gaetano) sposata con il conte Antonio Ferrario di Mantova, indicati entrambi nel testamento con parole affettuose (“dilettissimo” e “dilettissima”) quanto dai cugini, figli del marchese Ercole, che a partire dal 1721 mossero una causa, protrattasi molti anni, contro il Consorzio della Misericordia per ottenere il rilascio dei beni delle Case Nuove nel territorio di Mairano Lodigiano ritenute parte di eredità di loro spettanza.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 103-104, testo di Cinzia Cremonini)