Antonio Limonta (1843 – 1921)

Cesare Fratino, Ritratto di Antonio Limonta, 1914

Monsignor Antonio Limonta fu figura di spicco nella Curia Ambrosiana. Proveniente da una facoltosa famiglia milanese, figlio di Gaetano e Angela Cappa, era nato a Milano il 15 novembre 1843 ed era stato battezzato lo stesso giorno nella basilica prepositurale di S. Calimero. Dopo aver ricevuto gli ordini minori e la tonsura tra il 1866 e il 1867, giunse nel 1867 al suddiaconato che gli fu conferito “patrimonii”, cioè senza l’assegnazione di una prebenda, perché sufficientemente dotato di beni di famiglia. La consacrazione definitiva gli fu conferita nel luglio 1869 e il sacerdote fu destinato come addetto all’oratorio di S. Carlo a Milano. Negli anni successivi fu assistente a Santa Sofia, poi nuovamente vice assistente a San Carlo. Nel 1875 venne nominato coadiutore a S. Giorgio al Palazzo dove rimase fino al 1887 quando entrò a far parte dei canonici onorari della Metropolitana. Dal quel momento monsignor Limonta fu distaccato dalla cura d’anime, per assumere incarichi di rilievo nell’amministrazione della diocesi.
L’arcivescovo Ferrari lo scelse come rappresentante ecclesiastico nel consiglio della Congregazione di Carità, di cui entrò a far parte il 23 novembre 1887; il successivo 15 dicembre divenne membro della Commissione di Beneficenza, amministratrice della Cassa di Risparmio. Limonta fu consigliere della Congregazione per oltre quattro lustri, fino al 1913, con una interruzione tra il 1899 e il 1905.
Come componente del consiglio nel 1890 fu delegato a supplire il presidente della Congregazione nella trattazione degli atti di beneficenza e nel marzo 1895 ricevette la nomina a cavaliere della Corona d’Italia insieme al consigliere Giuseppe Bagatti Valsecchi e ai delegati di beneficenza Giuseppe Gargantini Pietti, conte Antonio Greppi e Giuseppe Montalbetti. L’intera Congregazione dimostrò piena stima e fiducia nell’operato del canonico e si schierò al suo fianco in occasione di una vertenza penale, dalla quale fu in seguito pienamente scagionato, in cui monsignor Limonta fu coinvolto dagli eredi di due benefattrici del Seminario Vescovile.
Al momento delle dimissioni da consigliere, presentate alla fine del 1912 in ottemperanza agli obblighi di legge, monsignor Limonta donò alla Congregazione otto cartelle di Rendita Italiana, per un capitale di 55.000 lire e una rendita annua di 1925, da utilizzarsi per l’aumento da 120 a 160 lire degli assegni erogati a favore di persone ammesse alla beneficenza riservata. Si trattava delle cosiddette Cartelle di Loreto, destinate ai poveri di famiglie decadute, che venivano soccorse con riservatezza per non creare loro imbarazzo. Il donatore dispose che il suo atto di liberalità non venisse reso pubblico.
Parallelamente alla carica nel Consiglio della Congregazione, il canonico Limonta ricoprì diversi incarichi nell’ambito della diocesi. Fu innanzitutto delegato alla costituzione e costruzione di nuove parrocchie nelle zone periferiche della città e nei dintorni: in particolare S. Luigi Gonzaga a porta Romana, terminata nel 1876, di cui fu direttamente mecenate; ugualmente si occupò della erezione delle chiese del Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola, della Regina Pacis a Milanino e della nuova chiesa di Rogoredo, di cui fu fabbriciere.
Seguì l’Azione Cattolica in diocesi fin dal suo insediamento e fu per molti anni assistente ecclesiastico della Giunta Diocesana, della Federazione dei Circoli e della Associazione di Mutuo Soccorso operaio femminile. Sempre nell’ambito assistenziale, fu superiore dell’Istituto delle Figlie di Betlem; l’istituto, fondato nel 1863 da Maria Virginia Besozzi, si occupava della protezione delle ragazze orfane di madre.
Monsignor Limonta morì il 22 settembre 1921, dopo aver ricevuto l’estrema unzione in forma solenne dal Capitolo Metropolitano. Con pari solennità si svolsero i funerali in Duomo il 26 settembre; la messa funebre fu celebrata dal Vicario generale, alla presenza dei rappresentanti della Giunta Diocesana e delle associazioni presiedute o beneficate dal sacerdote.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 272-273, testo di Daniela Bellettati)