Pie case d’Industria e di Ricovero (1784 – 1902)

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Il 15 dicembre 1784 – in seguito all’editto dell’imperatore Giuseppe II del 6 ottobre – venne aperta la Casa di Lavoro volontario presso l’edificio dell’ex Ospedale dei Pazzi di San Vincenzo in Prato: l’istituto era finalizzato a fornire lavoro a poveri disoccupati, appartenenti alla città per nascita o domicilio decennale, che non fossero in grado, anche per disabilità fisica o mentale, di accedere al normale mercato del lavoro. La materia prima necessaria all’attività lavorativa – filati, tessuti, pellami – veniva fornita dalla Casa. Agli uomini si insegnava a fare scarpe e stuoie con la stoppa, le donne confezionavano calze, abiti, biancheria di lino, cotone e canapa. Alle madri di famiglia, che non potevano abbandonare la casa, fu concesso di lavorare a domicilio. La produzione fu comunque sempre limitata, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, anche per non creare concorrenza con l’industria locale; parte dei manufatti era destinata ad altre strutture assistenziali cittadine. Per l’incapacità di alcuni di svolgere lavori anche semplici in modo produttivo, fu stabilito un minimo compenso giornaliero individuale per gli inabili e una paga proporzionata al lavoro svolto per tutti gli altri. Nei primi mesi del 1791 fu aperta anche una succursale nella struttura dell’ex Lazzaretto, che ebbe però vita breve.
Il mantenimento della Casa fu posto a carico dei Luoghi Pii Elemosinieri: nel progetto di riforma del sistema assistenziale voluto da Giuseppe II, infatti, le Case di Lavoro dovevano essere la prima risposta all’indigenza, destinate a contenere la necessità di ricorso alle elemosine. L’amministrazione fu affidata dapprima direttamente alla Giunta delle Pie Fondazioni, poi, dal 1792, al Capitolo Centrale dei Luoghi Pii Elemosinieri. Nel 1808, con decreto del viceré Eugenio di Beauharnais, si inasprì la repressione dell’accattonaggio; la Casa, direttamente amministrata dal Governo Italiano, assunse il nome di Regia casa d’Industria e vi vennero condotti forzatamente coloro che contravvenivano al divieto di mendicare. Il 1° marzo 1810 l’amministrazione dell’istituzione fu trasferita alla sezione III della Congregazione di Carità e la Casa d’Industria perse il titolo di Regia.
L’affollamento nell’edificio di San Vincenzo, generato dalla nuova politica repressiva nei confronti della mendicità, rese ben presto necessaria l’apertura di una nuova sede nei locali del soppresso convento degli agostiniani di San Marco (1815): in entrambe le Case, sottoposte a un unico direttore, furono poi accolti per la notte anche i poveri, intervenienti al lavoro e senza fissa dimora e perciò esse presero il nome di Pie Case d’Industria e di Ricovero. Presso le stesse furono ospitati anche per molti anni i minorenni abbandonati – i “derelitti” – fino all’apertura di un Istituto a loro dedicato.
Nel 1821 a San Marco venivano ricoverati per la notte 139 uomini e a San Vincenzo 147 fra uomini e donne. Attorno al 1830, durante i periodi di maggior affollamento nella brutta stagione, tra le due sedi si presentavano giornalmente al lavoro oltre 600 persone, mentre 300 donne lavoravano a domicilio. La situazione economica delle Case d’Industria si rivelò però sempre più precaria, anche perché l’istituto non fu mai in grado di mantenersi senza il sostegno finanziario dei Luoghi Pii Elemosinieri, subentrati alla Congregazione di Carità napoleonica. Mentre il numero dei lavoratori volontari venne naturalmente calando – rimasero quasi esclusivamente gli oziosi e i totalmente inabili – quello dei ricoverati fu limitato prima a trecento, poi a duecentocinquanta unità.
Nel 1840 presso la Casa di San Marco fu aperto, su iniziativa del direttore Michele Barozzi, un Istituto di ricovero ed educazione per i fanciulli ciechi, trasferito poi nel 1855 in una sede separata. Presso San Vincenzo dal 1854 ebbe la sua prima sede un Istituto per l’educazione dei giovani sordomuti di campagna, poi continuato altrove.
Dal 1860, in ottemperanza delle nuove leggi sulla pubblica sicurezza, fu aperto un Ricovero di mendicità comunale la cui direzione venne affidata alle Pie case d’Industria; esso fu insediato in alcuni locali dell’istituto in San Marco. La coabitazione tra la struttura di lavoro e il ricovero per mendicanti proseguì fino al 1869, quando entrambi gli istituti furono eretti in enti morali. Le Pie case d’Industria furono dotate di un regolamento proprio, pur se amministrate dal direttore del Ricovero di Mendicità, e ripresero l’esclusiva funzione di case di lavoro volontario.
La sede fu stabilita nel solo edificio di San Vincenzo in Prato, ritenuto più adatto per le attività lavorative, ma il concorso di lavoratori venne via via scemando, anche per disposizioni limitative all’ammissione introdotte dalla Congregazione di Carità dopo il 1893. Se nel 1859 si contavano ancora più di mille persone che cercavano lavoro nelle Pie case, nel 1900 il numero dei frequentatori era ridotto a soli undici uomini e due donne, tutti abitanti nel vicinato. Per questo motivo la proposta di trasferimento della sede presso l’ex manicomio della Senavra fu respinta dagli intervenienti al lavoro, che ottennero comunque un assegno quotidiano a domicilio, senza obbligo di recarsi alla produzione. La Casa d’Industria fu chiusa definitivamente nel 1902 e il suo patrimonio devoluto al Ricovero di Mendicità.

(da Guida dell’Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, pp. 284-285)