Giovanni Del Conte (1437 circa – 1522)

Agostino Santagostino, Ritratto di Giovanni Del Conte, 1679

Giovanni del Conte, o de Comite, apparteneva ad una nobile famiglia milanese ed era il secondo dei tre figli di Gaspare del Conte (figlio a sua volta di un Giovannino, già morto nel 1436) e di Margherita Toscani figlia di un Maffeo Toscani, morto entro il 1457.
Il padre di Giovanni, Gaspare, era stato un grosso mercante al tempo di Filippo Maria Visconti (1412-1447); poi, negli anni della Repubblica Ambrosiana (1447-1450) fu (nel 1448) uno dei Capitani e Difensori della Libertà, nonché uno dei due responsabili (collaterali generali) del Banco degli Stipendiati, cioè dell’ufficio preposto a tenere i rapporti finanziari ed amministrativi con i condottieri. Questa posizione lo dovette naturalmente mettere in frequenti relazioni con Francesco Sforza, di cui egli finì in realtà per diventare un attivo sostenitore. Quando perciò lo Sforza, nell’ottobre del 1448, ruppe con la Repubblica, il facoltoso Gaspare Del Conte ne dovette diventare uno dei finanziatori; non a caso sin dal marzo del 1450, all’indomani della definitiva conquista del Ducato, lo Sforza lo volle poi ricompensare con la nomina ad amministratore generale del traffico del Sale; mentre nel maggio del 1453 gli accordò un privilegio di esenzione (per sé, per i suoi fratelli e per i suoi discendenti) da tutti i carichi fiscali reali, personali e misti.
Quando poi Gaspare Del Conte morì, nel 1456, la titolarità dell’Ufficio del Sale passò per qualche tempo al figlio primogenito Pietro, mentre Giovanni, che era ancora minorenne (era nato infatti nel 1437 o nel 1438), dovette continuare ad occuparsi dell’attività mercantile, assieme alla madre Margherita (che sarebbe poi sopravvissuta per lo meno fino al 1483).
Pochi anni dopo, nel 1461, i fratelli Del Conte pervennero ad una divisione patrimoniale. A Giovanni furono assegnati svariati beni, tra cui la casa di famiglia a Milano (in Porta Ticinese, parrocchia di S. Alessandrino in Palazzo), divenuta in seguito psrte dell’attuale Palazzo Archinto, nonché estese proprietà fondiarie a Bruzzano, a Rovagnasco, a Lacchiarella, al Vigentino e ad Olgiate Olona. In quello stesso anno Giovanni si sposò inoltre con Chiara Ottobelli, che sarebbe poi rimasta in vita per almeno altri trentacinque anni (era infatti ancora viva nel novembre del 1495; ma era quasi certamente già morta nel 1518).
Inoltre, a partire dagli anni Sessanta, Giovanni Del Conte cominciò a registrare una significativa affermazione sociale (favorita evidentemente anche dai perduranti successi della sua attività mercantile). Nel 1467 gli vennero ad esempio confermati i suoi privilegi di esenzione fiscale, ulteriori conferme sarebbero arrivate nel 1477 e nel 1495; mentre nel 1470 egli riuscì a mandare a buon fine gli accordi matrimoniali (già negoziati a suo tempo dal padre Gaspare) per le nozze della sorella minore Antonia con il nobile Filippo Federici.
Segno tangibile del suo successo furono anche le cariche che gli vennero attribuite nell’amministrazione dei principali luoghi pii cittadini. Dal 1470 troviamo ad esempio il Del Conte tra gli scholares della Scuola della Divinità (di cui fu anche priore nel 1485-86), mentre dal 1476 fu deputato della Misericordia. A partire dagli anni Sessanta, inoltre, egli fu più volte nel consiglio dell’Ospedale Maggiore; mentre nel 1497 sarebbe divenuto altresì uno dei Deputati del Monte di Pietà.
Anche i suoi rapporti con la corte sforzesca divennero del resto piuttosto significativi. Fra il 1460 e il 1462 egli affiancò il fratello Pietro (che sarebbe poi venuto a mancare tra il 1467 ed il 1470) nella gestione dell’Ufficio del Sale con la qualifica di coadiutore. Entro il 1480 divenne quindi aulico ducale, mentre nel 1486 lo troviamo utilizzato per una missione diplomatica presso i marchesi di Finale. Infine, dieci anni più tardi, nel febbraio del 1496, Ludovico il Moro arrivò a nominarlo Consigliere Segreto.
Numerosi, d’altronde, furono anche i privilegi che Giovanni Del Conte riuscì a farsi rilasciare: si pensi ad esempio a quelli che gli vennero accordati nel 1480 e poi di nuovo nel 1495, in relazione all’utilizzo di acque dell’Olona per irrigare delle sue proprietà in località San Lorenzo, nella pieve di Parabiago.
Con l’arrivo dei Francesi nel 1499, e quindi con la caduta del regime sforzesco, e poi con le vicissitudini successive legate alla guerre d’Italia, la posizione politica del Del Conte si fece a quanto sembra meno rilevante. Egli cominciava del resto a non essere nemmeno più giovanissimo. Sopravvisse comunque fino al 22 gennaio 1522, dopodiché fu sepolto, nella chiesa di San Lorenzo Maggiore. Un monumento funebre, nella cappella di Sant’Ippolito (di giuspatronato della famiglia Del Conte) lo raffigurava vestito con abito lungo e spada, segno della sua dignità aristocratica di eques, cioè di cavaliere (titolo che gli era stato attribuito in data imprecisata, ma comunque successivamente al 1496).
Quel monumento era stato peraltro realizzato dal Consorzio della Misercordia. Sin dal febbraio del 1518, infatti, Giovanni del Conte aveva fatto testamento e, non avendo una discendenza maschile diretta, aveva indicato come erede universale del suo cospicuo patrimonio (valutato in più di 80.000 ducati) proprio i deputati del luogo pio, sebbene dei sostanziosi legati fossero stati per la verità istituiti anche a favore di diversi altri enti (la Fabbrica del Duomo, l’Ospedale Maggiore, la Scuola della Divinità, la chiesa di Sant’Alessandrino in Palazzo, le monache di Sant’Orsola e di Santa Chiara, i frati di Santa Maria degli Angeli e di Santa Maria delle Grazie). Non furono dimenticati i vari congiunti, collaboratori e servitori.
Tra i parenti peraltro, oltre a vari nipoti e cugini, vi era in particolare una figlia naturale, di nome Margherita, che Giovanni aveva avuto da tale Giovannina, e che in seguito era stata legittimata, e quindi unita in matrimonio (nel 1511) a Cesare Visconti. A lei il padre lasciò in effetti i beni dotali, con in più alcune proprietà fondiarie ad Ossona e la casa avita in Milano, nella parrocchia di Sant’Alessandrino in Palazzo.

(da Il tesoro dei poveri, p. 88-89, testo di Francesco Somaini)