Francesco Grassi (1790 – 1862)

Scultore lombardo, Ritratto di Francesco Grassi, 1830-1835
Bartolomeo Soster, Ritratto di Francesco Grassi, 1838

Francesco Grassi nacque a Milano il 25 giugno 1790 da Giovanni e Maria Lucioni. Il padre era un mercante di cordino con un modesto giro d’affari, fatto che spiegherebbe la iniziale riluttanza di Francesco a proseguirne l’attività. Nel 1811, quando aveva già 21 anni, lo troviamo infatti registrato nei Ruoli di popolazione della città di Milano in qualità di “aiutante geometra”. Non conosciamo le ragioni che lo indussero a cambiare mestiere, ma certamente prima del 1835 egli aveva già avviato una proficuo commercio di sete all’ingrosso. In una seconda iscrizione del Ruolo di popolazione, che veniva periodicamente aggiornato in occasione dei cambi di residenza, viene infatti definito “negoziante di seta”. Nel rilevamento del 1835 gli viene invece attribuita la più generica professione di “negoziante”, indice di una minor specializzazione in uno specifico ambito merceologico e di un probabile ampliamento dei traffici. In effetti agli inizi degli anni Quaranta, quando la consultazione dei suoi libri mastri ci consentono di farci un’idea più precisa dei suoi affari, lo troviamo impegnato in molteplici attività commerciali e finanziarie. A quel tempo egli amministrava diversi appalti per le truppe di stanza tra Crema, Lodi e Pavia (foraggi, panizzazione, paglia, vestiario), oltre alle esattorie di Crema; nel 1843-44 gestiva in società con Enrico Mylius una fabbrica di coperte; tra il 1850-52 era socio della Società manifatture in lana di Vöslau; partecipava in società con lo stesso Mylius, e le ditte Galli, Brambilla, Balabio e Besana, alla conduzione di un paio di filande in Lodi; commerciava in gallette, seta, lana, pelli, cotone, piombo, stagno, rame e ogni genere di mercanzia. A fianco delle attività produttive e commerciali andarono consolidandosi quelle finanziarie che sarebbero divenuti decisamente preponderanti verso la metà degli anni Cinquanta, quando le difficoltà commerciali conseguenti allo “stato di guerra” unite alle conseguenze della pebrina ridimensionarono notevolmente i profitti della sua azienda. Nel corso degli anni Quaranta, tuttavia gli affari andarono a gonfie vele, tant’è che tra il 1845 e il 1852 il capitale sociale della ditta, da lui integralmente versato, passò da 500.000 a 1.000.000 di lire austriache, grazie ad un sistematico reinvestimento degli utili che nei medesimi anni non scesero mai sotto le 45.000 lire e raggiungendo nel 1849 la cifra record 300.000 lire milanesi. Agli utili dell’azienda vanno poi aggiunti gli interessi del 5% sul capitale sociale, quindi ulteriori 25.000/50.000 lire annue.
Che gli anni Quaranta abbiano segnato il culmine della parabola ascendente del Grassi è testimoniato da un lato dal trasferimento della sede del “negozio” nel cuore finanziario della città, specificamente in via Meravigli 2375 (oggi n. 4), dove già erano ubicate le maggiori società e banche ambrosiane, e dall’altro dall’acquisto, compiuto nel 1850, di un esteso possedimento di oltre 1000 pertiche con casa da nobile in Giussano per il prezzo di 335.000 lire. A coronamento di questa brillante carriera mercantile nel 1856 Francesco Grassi veniva insignito, unitamente ad altri importanti uomini d’affari ambrosiani, del titolo di cavaliere dell’Ordine imperiale di Francesco Giuseppe.
Al momento della morte, avvenuta a Milano il 22 dicembre 1862, Grassi lasciava un patrimonio stimato in circa un milione di lire italiane, di cui la metà in beni immobili e metà in capitali, obbligazioni, mutui, titoli di credito e industriali. Con il decreto 24 febbraio 1864 della Giudicatura del mandamento IV di Milano, tale ingente sostanza veniva aggiudicata, sulla base di un testamento olografo privato di cui non è rimasta traccia, per due terzi ai Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, amministrati dalla Congregazione di Carità, e per un terzo a quelli di Crema con l’obbligo di istituire una causa pia per il soccorso di famiglie povere civile condizione.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 212-213, testo di Stefano Levati)