Pietro Niccolini (1782 – 1862)

Alessandro Reati, Ritratto di Pietro Niccolini, 1864

L’otto aprile 1862, all’età di ottant’anni, l’avvocato Pietro Niccolini, del fu Fortunato, si spegnava in Milano al primo piano della bella casa al numero 890 di San Pietro all’Orto (oggi 20), il cui intero stabile aveva acquistato nell’ottobre del 1817 per 47.000 lire milanesi, corrispondenti, al momento del decesso, a quasi 36.000 lire italiane.
Non avendo figli, destinava la sua ragguardevole fortuna, pur gravata da numerosi e consistenti legati, ai Luoghi Pii elemosinieri di Milano, “ove sono nato e sempre prosperamente vissuto colla celeste grazia” – come si può leggere nell’articolato testamento olografo, datato 29 dicembre 1856, e poi integrato da un codicillo, aggiunto il 27 febbraio 1860 – perché in perpetuo fossero distribuiti i frutti annui “durante li tre mesi più rigidi dell’inverno in aumento della solita elemosina settimanale ai poveri di questa città”; e ulteriormente motivava questa sua scelta, con la piena e perfetta conoscenza dell’indole della moglie, Antonia Bonavilla: tutto, infatti, “avrei disposto per lei”, egli spiegava nel citato testamento, “se non conoscessi il suo pieno distacco da ogni cosa peritura e terrena”. Un distacco di cui si veniva a dare giusto riconoscimento e merito persino nella lapide mortuaria, che nel 1909 veniva traslata dal Cimitero Monumentale – nel quale, a sua volta, era stata trasferita, con tutto il monumento sepolcrale, nel 1894, dal cimitero di San Gregorio – nella cripta della nuova chiesa di San Gregorio: in essa, infatti, si sottolineava in chiusura come il defunto avesse disposto “morendo il non tenue suo patrimonio a sollievo dei poveri assenziente la vedova di lui Antonia Bonavilla che gli sopravvive sconsolatissima”.
Un assenso, dunque, di cui è giusto dar atto, pur se occorre precisare che quanto il Niccolini veniva a lasciare alla moglie era tutt’altro che poca cosa; precisamente, oltre all’usufrutto vita naturale durante, e senza obbligo di spesa alcuna, dell’appartamento già ricordato, con i mobili e le suppellettili tutte – ma esclusi i libri –, a titolo di legato il credito ipotecario di 40.000 lire italiane che il de cuius vantava verso i nobili fratelli pavesi Beretta della Torre. E si consideri, infine, che, come da atto dotale, alla moglie andavano anche 61.000 lire a titolo di restituzione della dote e contro dote.
Quanto agli altri legati e sub legati, come si è accennato erano numerosi e rilevanti. In specie, nettamente si distacca la figura del nipote Carlo Tosi, dottore fisico; nonostante egli fosse un nipote acquisito, essendo vedovo di Carolina Niccolini, figlia del defunto Giovanni Battista, fratello del nostro benefattore, a lui egli lasciava la parte più cospicua, tanto che si potrebbe ritenere – seppur non tecnicamente, perché non risulta alcun atto formale in tal senso – una sorta di pupillo, come viene del resto definito nella citata lapide mortuaria, pur senza nominarlo ma, senza dubbio, a lui riferendosi: “Moderato prudente affezionato alla difesa della vedova e del pupillo amato e stimato”.
A Carlo Tosi, dunque, forse anche perché “ancora in fresca età e già carico di figli tutti ugualmente a me carissimi”, lasciava due cartelle di 100 fiorini ciascuna del Monte Lombardo Veneto, per una rendita annua complessiva di 510 lire italiane, nonché, e soprattutto, a sua scelta, uno dei suoi due possedimenti, situati l’uno in Paderno e l’altro in Camnago, con ogni annesso e connesso. Il primo, di oltre 486 pertiche con casa, giardino e caseggiati colonici, in parte era stato acquistato da Pietro dal fratello Giovanni Battista nel 1811, e in parte era a lui pervenuto quale eredità del nipote Agostino, figlio di quest’ultimo, alla sua morte, avvenuta nel giugno del 1838; il tutto per un valore di perizia di oltre 56.600 lire. L’altro, quello di Camnago, anch’esso con caseggiato civile e giardino, constava di 1.025 pertiche, era stato acquistato dal nostro nel novembre del 1823 e valeva, stando all’inventario dei beni alla sua morte, circa 73.600 lire. Il legato in oggetto era però sottoposto alla condizione di liquidare i sub legati a favore dei parenti, moglie esclusa.
Precisamente, ai quattro nipoti, di cui due sacerdoti, figli dei suoi fratelli Carlo e Felice, il nostro lasciava 10.000 lire ciascuno, ma senza diritto di accrescimento; mentre ad altri cinque parenti, qui definiti nipoti, ma, in realtà, figli di cugini, la somma legata era, complessivamente, di 30.000 lire, con diritto di accrescimento. Da ultimo, sempre a proposito di parenti, 20.000 lire erano riservate a Felice Niccolini, figlio della nipote Carolina, vedova Broglio – cui, per altro, andavano 8.000 lire – ma subordinatamente al fatto che raggiungesse l’età di 29 anni, cosa di cui il testatore dubitava, a causa della precarietà della sua salute.
Quanto alle elemosine, esprimendo il desiderio che i suoi funerali fossero celebrati “senza pompa”, disponeva che il giorno dei medesimi fossero distribuite 2.000 lire, metà ai poveri della parrocchia di San Carlo e metà a quelli di quella di San Francesco da Paola; alla prima, inoltre, lasciava 3.000 lire per le piccole spese urgenti, ed altre 600, allo stesso titolo, alla parrocchia di San Pietro in Celestino; quanto alle messe, avrebbero dovuto essere 150, a tre lire ciascuna. A carico dell’erede, invece, e non del Tosi, rimanevano i legati, per altro ampiamente d’uso, a favore del personale di servizio, 6.000 lire al domestico e 500 alla portinaia, e quello di alimenti, pari a tre lire al giorno, a favore del nipote Vincenzo.
Una questione delicata si sarebbe dimostrata quella dei libri; infatti, questi, ben 7.508 come da inventario, per un valore di circa 4.500 lire, nel testamento venivano legati alla città di Monza. Ma, probabili difficoltà sopraggiunte circa la loro definitiva collocazione, e i relativi contrasti derivati, inducevano il testatore a modificare le sue ultime volontà, a mezzo del codicillo di cui si è detto, steso il 27 febbraio del 1860. Anzi, si può dire che la redazione di quest’ultimo si fosse resa necessaria proprio a questo fine, anche se si deve aggiungere che, contestualmente, il Niccolini disponeva l’aumento di un quarto dei legati a favore dei parenti, ma con la precisazione che tale aumento fosse a carico dell’erede, i nostri Luoghi Pii, e non del Tosi; nonché il condono di ogni debito vantato nei confronti dei suoi coloni. I libri, dunque, venivano ora legati alla chiesa di San Carlo – previa scelta, riservata alla moglie, di dieci o venti volumi “tra ascetici e di religione” – perché il parroco, in parte li regalasse ai ragazzi, e in parte li mettesse all’asta; il tutto con l’onere di fare “la volta del Coro, ora così meschinamente dipinta”.
Per completare il quadro relativo al patrimonio, occorre aggiungere che il Niccolini era titolare del dominio diretto, valutato in oltre 26.600 lire, su una casa con giardino, sita in Milano contrada di Santa Orsola, in via Pasquirolo 10, concessa in enfiteusi perpetua al notaio Giacomo Carpani per 1.333 lire annue; che l’importo complessivo delle cartelle del debito pubblico ammontava a ben 156.338 lire; che i crediti per capitali superavano la somma di 127.635 lire; e che, infine, mobili, suppellettili, argenti, biancheria, delle due case di campagna e di quella di Milano, venivano valutati complessivamente poco meno di 12.000 lire. A fronte, il passivo, se si eccettuano le 61.000 lire della dote e contro dote di cui si è già detto, non era gran cosa; precisamente, si trattava di 21.603 lire di capitali iscritti ipotecariamente sui beni di Camnago a garanzia di oneri perpetui; e di meno di 10.000, complessivamente, fra capitali per una vitalizia giornaliera, dovuta per disposizione del già citato nipote Agostino, di cui era l’erede, e dunque, presumibilmente a titolo di legato, a favore di Teresa Roncalli, debiti plateali e spese di ultima malattia. Il patrimonio netto, dunque, da cui tuttavia si sarebbero dovuto sottrarre i legati di cui si è detto, ammontava a oltre 413.000 mila lire.
Al di là dei debiti di modico importo verso fornitori, negozianti ed artigiani, merita un cenno un curioso impegno, preso dal nostro benefattore con promessa del 9 ottobre 1860, non ancora onorata al momento del decesso: quello di versare un contributo per concorrere alla spesa della bandiera della Guardia Nazionale di Lentate; al capitano della stessa, che ne chiedeva l’adempimento, l’amministrazione del nostro ente prontamente accordava il relativo contributo.
Dal ‘prospetto’ di riparto dell’imposta di successione, elaborato dall’Ufficio del registro nel 1864, si evince che il Tosi avesse manifestato l’intenzione di optare per il possedimento di Paderno, pur se di minor valore, almeno stando alle stime di cui si è detto; ma non formalizzava tempestivamente tale scelta, con tutta probabilità perché ‘spaventato’ dall’onere dei sub legati, valutati alla fine complessivamente in oltre 62.200 lire, tanto che qualche sub legatario si vedeva costretto, a causa delle proprie ristrettezze economiche, a rivolgersi, e più di una volta, all’amministrazione del nostro ente, richiedendo un’anticipazione, ma ottenendone risposta negativa. E, almeno in un caso, respinta era anche la proposta, avanzata alla Cassa Nazionale di Assicurazione, di cessione del credito stesso; non accolta, proprio e per l’appunto, a causa della “eventualità della scadenza”.
Questa situazione di incertezza impediva il rilascio al nostro ente dell’autorizzazione, come si sa prevista dalla legge, ad accettare l’eredità, tanto che il competente Ministero dell’interno più volte aveva suggerito di trovare un accordo con il Tosi; accordo che finalmente veniva raggiunto nell’aprile del 1864: considerato che sarebbe stato ben difficile per il Tosi “l’adempimento dei sub legati pel soddisfacimento dei quali avrebbe dovuto assumere a mutuo gli occorrenti capitali”, a fronte della sua rinuncia al legato alternativo gli si riconosceva la somma di 25.000 lire, che rappresentava la “differenza fra l’importo dei sub legati ed il valore del migliore dei due fondi”. Contestualmente la Congregazione deliberava, a fronte delle reiterate istanze di cui si è detto, nonché “considerate le condizioni di strettissime finanze in cui versano”, di accordare ai nipoti Carlo, Pietro, Girolamo e Letizia Niccolini un sussidio di 500 lire ciascuno.
Risolta tale spinosa questione e ottenuto il nullaosta governativo, il decreto di aggiudicazione veniva emesso il 25 febbraio 1865 e il nostro ente poteva procedere all’alienazione dei due poderi. Precisamente, nello stesso anno veniva ceduta la possessione di Paderno, per 94.700 lire; dunque, per un prezzo ben superiore al valore di stima che, come si ricorderà, era pari a 56.600 lire: si deve pertanto osservare che, nel far cadere l’eventuale opzione su questo, il Tosi aveva visto bene. E tre anni dopo, nel 1868, per 70.500 lire quella di Camnago, che, lo si è detto, era stata valutata un po’ di più, cioè 73.600. In definitiva, la Congregazione veniva a percepire dall’eredità Niccolini un importo netto di 360.000 lire.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 211-212, testo di Alberto Liva)