Claudia Caterina Clerici Bigli (1736 – 1824)

Napoleone Mellini, Ritratto di Claudia Caterina Clerici Bigli, 1837

La famiglia Clerici, ancora di recente estrazione mercantile a metà Seicento, si affermò nel panorama della nobiltà lombarda attraverso la figura di Giorgio Clerici (Milano 1648-1736). Definito un giovane “avido di voler essere sì nelli onori, come nella roba il signore dell’universo”, egli si assicurò tutto il ricco patrimonio dei Clerici (redditi camerali, censi e dazi, case e botteghe a Milano e Pavia, terre nell’alto Milanese e a Novara, Pavia e Lodi) in base a un fedecommesso istituito dal nonno Giorgione nel 1660; pur conducendo una vita di splendore e fasto, Giorgio riuscì ad incrementare notevolmente il patrimonio avito, non disdegnando le forme di investimento speculativo che avevano reso ricco il nonno. Divenuto marchese di Cavenago grazie all’acquisto di tale feudo dallo zio Pietro Antonio nel 1666, si sposò nel 1669 con Caterina Pallavicini. Iscritto al Collegio dei giureconsulti, si fece rapidamente strada nelle cariche del ducato. Esordì come vicario pretorio a Cremona, divenne questore del Magistrato ordinario, e finalmente nel 1684 ottenne il seggio di senatore, carica che lo collocava a pieno titolo fra i membri della ristretta oligarchia milanese; due anni dopo era a Madrid in qualità di reggente nel Supremo Consiglio d’Italia, nel 1691 gran cancelliere ad interim dello Stato di Milano e nel 1695 presidente del Magistrato ordinario. La carriera pubblica di Giorgio Clerici proseguì sotto gli Asburgo con la nomina nel 1708 a consigliere intimo di Stato e nel 1717 a presidente del Senato; l’anno precedente era stato conferito il grandato di Spagna al nipote Carlo Giorgio, su cui Giorgio Clerici aveva riposto le sue speranze, avviandolo alla carriera delle armi e alla illustre protezione del principe Eugenio di Savoia. Morto Carlo Giorgio nel 1717, le fortune della famiglia Clerici vennero affidate al pronipote Antonio Giorgio (Milano 1715-1768) nominato dal bisnonno Giorgio erede universale nel 1733. Sposatosi in età molto giovane con Fulvia Visconti, dalla quale ebbe Claudia Caterina Fernanda, una volta divenuto continuatore del casato cercò in tutti i modi di accrescere il lustro della famiglia: erede del titolo di marchese di Cavenago e di signore di Cuggiono e di Trecate, nel 1737 fece domanda per accedere al patriziato della città di Milano, a cui fu ammesso nel 1739. A differenza del bisnonno, Antonio Giorgio non si distinse per mezzo degli uffici, bensì intraprese sull’esempio paterno la carriera militare, partecipando alla guerra dei sette anni tra il 1756 e il 1757, anno nel quale venne esonerato dai suoi incarichi a causa di una ferita. Nel 1758, in occasione del conclave che elesse Clemente XIII, fu nominato ambasciatore straordinario presso la santa sede dall’imperatrice Maria Teresa, perché impetrasse dal nuovo pontefice il titolo di “regina apostolica”. In questa occasione, come nel resto della sua esistenza, esibì il fasto peculiare della tradizione dei Clerici.
La figlia Claudia Caterina Fernanda, nata nel 1736, sposò nel 1752 il conte Vitaliano Bigli (1731-1804), figlio di Gaspare e ultimo rappresentante della casata. Vitaliano ricoprì alcune cariche della carriera politico-amministrativa riservate al patriziato milanese, tra le quali quelle di decurione della città di Milano, giudice delle strade, assessore al Tribunale araldico istituito da Maria Teresa, gentiluomo di camera a corte. A Claudia Caterina Clerici, dama della croce stellata, nel 1778 venne assegnato il titolo di feudataria di Trecate e Sozzago (Novara) e nel 1816 con un regio decreto vennero confermate l’antica nobiltà e le prerogative paterne estese alla grandezza di Spagna da parte dell’imperial regia Commissione araldica.
Claudia Caterina e Vitaliano vissero, senza avere figli, nel Palazzo Bigli in contrada Borgonuovo, conducendo una vita lussuosa (il ménage familiare prevedeva il mantenimento di ventitré domestici “per il servizio dell’anticamera, della cucina e della scuderia escluso il personale femminile”). Alla morte di Vitaliano Bigli, avvenuta il 17 dicembre del 1804, alla vedova Claudia Caterina rimase l’usufrutto di Palazzo Bigli e un vitalizio annuo di 30.000 lire, mentre eredi furono le sorelle Anna e Fulvia Bigli, alle quali Claudia Caterina nel 1805 consegnò gli ottantotto dipinti appesi nella stanza “detta de’ quadri”. Claudia Caterina Clerici fu una donna colta, attiva e dedita alla beneficenza: partecipò tra il 1818 e 1820 all’elaborazione del Manifesto della società delle signore, tra le cui firmatarie figuravano le aristocratiche Teresa Confalonieri Casati, Maria Borromeo D’Adda, Fulvia Nava Trecchi, e nel quale si promuoveva l’apertura di scuole e la diffusione del mutuo insegnamento per le fanciulle.
Nel testamento 8 maggio 1806, la Clerici, morta a Milano all’età di 88 anni il 7 ottobre 1824, designò quali eredi diretti il nobile Giulio Dugnani, il conte Giovanni Mario Andreani (figlio di Pietro Paolo e membro della direzione dei Luoghi pii elemosinieri) e il ragionier Giovanni Battista Sanvito, con l’obbligo di adempiere a diversi legati, tra i quali due lasciti a favore delle povere nubili accolte presso lo stabilimento in Porta Tosa a Milano e a favore delle povere nubili abitanti nel borgo di Trecate. La testatrice lasciò, inoltre, la sua ricca biblioteca alla congregazione dei Padri Barnabiti di Sant’Alessandro in Milano.
Due degli eredi del patrimonio Clerici decisero di devolvere la loro parte di eredità all’Amministrazione dei Luoghi pii elemosinieri: il cavalier Dugnani e il conte Andreani, con disposizioni testamentarie rispettivamente datate 1829 e 1830, destinarono, infatti, al Luogo pio Loreto – per tramite del conte Giacomo Mellerio – il terzo a loro spettante, mentre Sanvito conservò la sua quota d’eredità. Nel 1834, dunque, pervennero ai Luoghi pii elemosinieri beni mobili e immobili per un valore totale di lire milanesi 482.203: oltre 34 pertiche in Oleggio (affittate per 350 lire annue), il diretto dominio di alcuni beni detti “li Giardini del Castello” nei Corpi Santi di Porta Vercellina (circa 1534 pertiche, per i quali i livellari pagavano 17 mila lire annue), un fitto di lire 950 per il diritto di pesca nel Ticino da Pavia al Po, un credito di lire 26.158 verso gli eredi del consigliere Barnaba Majneri, nonché 98.268 lire ricevute in contante; ai Luoghi Pii spettava inoltre il diritto di nomina ad una piazza per un sacerdote infermo presso l’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dovendosi però assumere il carico di tutta una serie d’annualità perpetue, prestazioni vitalizie e temporanee.

(da Il tesoro dei poveri, pp. 178-179, testo di Enrica Panzeri)