Carlo D’Adda (1816 – 1900)

Federico Gariboldi, Ritratto di Carlo D'Adda, 1941 (Raccolte d'Arte dell'Ospedale Maggiore, Milano)
Federico Gariboldi, Ritratto di Carlo D'Adda, 1941 (Raccolte d'Arte dell'Ospedale Maggiore, Milano)

La vita di Carlo D’Adda, presidente della Congregazione di Carità di Milano dal 1868 al 1886, fu fin dalla più giovane età caratterizzata da un inflessibile rigore etico e da una profonda fede religiosa, che pose sempre a guida della sua condotta in ogni campo.
Nato a Milano il 24 novembre 1816 dal marchese Febo (1772-1836) e da Leopolda Khevenhüller (1776-1851), circondato dagli agi e dal lusso di una posizione privilegiata, non esitò a compiere scelte determinate proprio dalla sua intransigenza morale, come quella di interrompere gli studi universitari in legge prima del conseguimento della laurea, per evitare di prestare giuramento di fedeltà alla casa d’Austria.
Con le sue considerevolissime disponibilità patrimoniali, finanziò largamente la causa risorgimentale, insieme al fratello maggiore Giovanni, con cui condivideva gli ideali patriottici.
Tuttavia, se in un primo tempo rimase affascinato dalle posizioni democratiche e repubblicane, si avvicinò progressivamente a quelle monarchico costituzionali, sollecitando l’intervento di re Carlo Alberto in Lombardia in occasione degli avvenimenti del 1848.
Dopo il ritorno degli austriaci a Milano, si spostò a Torino con la famiglia, rientrando nella città natale solo nel 1850, continuando tuttavia a mantenere contatti politici negli Stati sardi e in Francia. Il salotto di Carlo D’Adda e di sua moglie Maria Falcò Valcarcel Pio di Savoia (1826-1893) divenne nel corso degli anni Cinquanta uno dei più vivaci e politicamente attivi.
Le vicende militari e politiche del 1859 e del 1860 segnarono il suo ritorno sulla scena pubblica: nel 1859 divenne infatti governatore (poi prefetto) di Torino, mentre l’anno successivo fu nominato Senatore.
Carlo D’Adda rimase alla guida della Provincia di Torino fino al 1862, quando decise di dimettersi per incompatibilità con il Governo Rattazzi, insediatosi nel marzo di quell’anno.
L’episodio non lo indusse tuttavia a rinunciare a ruoli di responsabilità, soprattutto dopo il ritorno a Milano. Nel 1863 fu infatti nominato presidente del Consiglio degli Istituti ospitalieri, dando avvio ad una significativa opera di riforma normativa, grazie alla quale l’Ospedale Maggiore venne dotato di un nuovo statuto e di un nuovo regolamento amministrativo e sanitario. D’intesa con il consiglio, sollecitò inoltre il rinnovamento dei servizi e degli edifici e promosse l’istituzione di una Clinica medica, che sarebbe poi diventata il primo nucleo della facoltà di medicina.
Dopo la morte di Ignazio Prinetti (+ 20 settembre 1867), che ben conosceva, per la comune militanza politica nello schieramento moderato e per avere, tra l’altro, partecipato con lui alla fondazione del periodico “La Perseveranza”, venne chiamato dal Comune di Milano a succedergli come presidente della Congregazione di Carità.
Anche in questo caso, D’Adda aveva idee molto chiare, che cercò di realizzare nel corso del suo mandato ventennale alla guida della massima istituzione della beneficenza ambrosiana. Come aveva già fatto alla Ca’ Granda, si occupò di dare all’ente e agli istituti da esso dipendenti nuovi statuti e regolamenti. Estese e modernizzò l’offerta dei servizi, indirizzandola verso i settori della prevenzione, del lavoro e dell’istruzione. Promosse continue migliorie sui beni immobili, attuò l’ampliamento della Pia casa degli incurabili di Abbiategrasso su progetto dell’ingegner Giuseppe Balzaretto – che vi si dedicò gratuitamente, forse proprio in virtù della sua amicizia con il presidente – e si oppose con successo alle proposte di conversione coattiva dei beni stabili delle opere pie in rendita dello Stato. Non solo, appassionato collezionista d’arte, a partire dal 1875 deliberò insieme al consiglio che i ritratti gratulatori dei benefattori venissero realizzati nella forma del busto in marmo.
Il suo impegno filantropico non si esaurì comunque in seno alla Congregazione di Carità, fu infatti per molti anni alla guida del Patronato degli adulti liberati dal carcere e si interessò altresì al funzionamento dell’Istituto oftalmico, della Guardia medico-chirurgica notturna e dell’Ambulatorio per la cura antirabbica. La lunga esperienza maturata sui temi dell’assistenza, gli valse la nomina a vicepresidente del Congresso internazionale di beneficenza che si svolse a Milano nel 1880, oltre a importanti onorificenze, tra le quali quella di Gran cordone dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia.
Nonostante i numerosi riconoscimenti e attestati di benemerenza, la fine del suo mandato di presidente della Congregazione di Carità è legata ad un episodio che lo amareggiò molto: a causa di alcune irregolarità contestate a Giuseppe Scotti, segretario generale dell’ente, il 27 febbraio 1886 Carlo D’Adda decise infatti di rassegnare le dimissioni, insieme all’intero consiglio, sebbene non venisse a lui imputata alcuna responsabilità nella vicenda. Proseguì invece la sua opera in Senato e nel Consiglio provinciale di Pavia, dove era stato eletto nel 1875.

D’Adda si spense a Milano il 25 giugno 1900, preceduto poche ore prima dal figlio Giovanni (1856-1900). Gli sopravvisse la figlia Leopolda (1847-1922), moglie del conte Annibale Brandolini il quale nel 1914 ottenne la facoltà di aggiungere al proprio il cognome d’Adda.

(testo di Maria Cristina Brunati)