Carlo Mira (1799 – 1885)

Mosè Bianchi, Ritratto di Carlo Mira, 1876. Galleria d'Arte Moderna, Milano
Mosè Bianchi, Ritratto di Carlo Mira, 1876. Galleria d'Arte Moderna, Milano

Carlo Mira nacque a Casorate (oggi Casorate Primo, provincia di Pavia) il 31 dicembre 1799 da Giovanni e Maria Antonia Santagostini. Compiuti gli studi primari, nel 1812 s’iscrisse al Liceo di Sant’Alessandro in Milano, per passare poi a quello di Pavia, dove frequentò anche l’Università. Svolto il periodo di praticantato negli studi degli ingegneri Paolo Ripamonti Carpano, Giovanni Battista Mazzeri (1786-1867) e Giuseppe Merli (1759-1829), conseguì la patente d’ingegnere architetto civile il 20 agosto 1822, stabilendosi definitivamente a Milano.

Fra i suoi clienti più facoltosi figuravano i marchesi Raimondi di Como, la contessa Teresa Giorgi Oppizzoni Paceco e Angiola Arnaboldi Casnati di cui fu esecutore testamentario. Nel 1826 venne nominato dal Tribunale di Milano amministratore giudiziale del minorenne conte Carlo Gola per la sostanza abbandonata dalla madre, Clara Dugnani, divenendone tutore alla morte del padre Gerolamo, e infine procuratore generale, mantenendo tale incarico per tutta la vita. Il conte Gola gli assegnò un ampio appartamento nel suo palazzo di Borgo della Stella, dove l’ingegner Mira finì per stabilire la sua residenza milanese dal 1832.

Partecipe del vivace dibattito che si andava in quegli anni sviluppando intorno alle questioni igieniche e ai loro risvolti sociali, Mira incentrò la sua attività professionale e il suo impegno civico su questi temi, facendosi promotore della realizzazione di opere d’interesse collettivo. Nel luglio 1836, alle prime avvisaglie di una temutissima epidemia di colera, si prestò a rivestire gratuitamente l’ufficio di “deputato di sezione” per il Comune di Milano. La violenta diffusione del morbo fece emergere le lacune del sistema idrico e fognario della città, inducendo l’ingegnere a elaborare originali riflessioni e concrete proposte d’intervento intorno al delicato tema della salubrità delle acque. Mentre nel 1840 dava alle stampe una memoria Sul modo di derivare le acque termali che scaturiscono dal suolo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, di ritorno da un viaggio in Europa, Mira studiava un progetto per la deviazione e copertura della Fossa interna di Milano. Il progetto lo impegnò a lungo: una prima versione fu data alle stampe nel 1858 e poi, rielaborata sostanzialmente, venne sottoposta al Municipio di Milano nel 1865 e presentata al Congrès international d’hygiène de sauvetage et d’économie sociale di Bruxelles del 1876. Fermamente convinto della validità dell’iniziativa, Mira presentò poi la variante definitiva all’Esposizione Nazionale di Milano del 1881, raccomandandone ancora l’esecuzione nel suo testamento e disponendo che le carte da lui elaborate, già depositate in municipio, venissero trasferite alla Biblioteca Ambrosiana.

Nel 1863 divenne consigliere della Congregazione di carità di Milano, occupandosi specialmente del miglioramento dei fondi rustici. In alcuni casi curò in prima persona l’esecuzione di opere d’ingegneria agraria, come nel caso dello scavo di una testa di fontana sopra beni Oppizzoni Paceco di Pioltello, che venne successivamente a lui intitolata (Fontana Mira).

Nel 1882 entrò nella commissione istituita in seno alla Congregazione di Carità per valutare i «modi di migliorare la condizione dei contadini che lavorano i poderi» dell’ente, della quale facevano parte anche il presidente Carlo D’Adda, il commendator Carlo Servolini, l’ingegner Luigi Grassi e l’avvocato Giuseppe Scotti, segretario generale dell’ente e relatore della commissione. Gli esiti dell’inchiesta furono pubblicati nel 1884 sulla “Rivista di beneficenza pubblica e delle istituzioni di previdenza”, diretta dall’avvocato Scotti.

Ancora in ambito assistenziale, assunse l’incarico di vice-presidente dell’Istituto Oftalmico, fondato nel 1874 per iniziativa del medico Giovanni Rosmini (1832-1896). Fu inoltre socio della Società Edificatrice di case per operai e vice-presidente del consiglio di amministrazione della ferrovia Vigevano- Milano, inaugurata nel 1870.

Appassionato cultore d’arte, Mira contribuì ai restauri di importanti edifici religiosi, come la basilica di San Michele Maggiore in Pavia e le chiese milanesi di Sant’Eustorgio e San Vincenzo in Prato. Conservava nella sua abitazione una significativa raccolta di dipinti, sculture e incisioni, destinata in legato al Municipio di Milano perché li conservasse «riuniti in un sol locale o due del Palazzo del Museo».

Dopo la morte dell’unica figlia Luigia († 1884), nata dal matrimonio con Carolina Orsini († 1838), nel suo testamento del 5 maggio 1885, rogato dal notaio Antonio Mezzanotte, nominò suoi eredi universali i nipoti Alessandro, Giovanni e Giuseppe, figli di suo fratello Francesco, disponendo nel contempo numerosissimi legati in favore di parenti, amici, aiutanti e praticanti di studio, persone di servizio, enti e istituti benefici. Oltre al lascito in favore del Municipio di Milano, quello di maggior rilevanza era costituito dalla somma di 200.000 lire destinata alla costruzione di un ospedale in Casorate, riservato «ai malati poveri» di quel comune, in favore del quale vincolava anche tutte le sue proprietà in quel paese. La proprietà di famiglia di Inveruno venne destinata in usufrutto al genero Gaetano Tanzi e, dopo la sua morte, «al di lui nipote Nobile Gaetanino del vivente Nobile Giulio» a condizione che questi accettasse di «unire al suo cognome quello dell’amata mia figlia firmando sempre Tanzi Mira, e ciò per far rivivere in quel paese il di Lei cognome di nascita».

Alla Congregazione di Carità di Milano erogava invece la somma di 1.800 lire per la costituzione di tre assegni annuali in favore di «tre poveri scultori o pittori che siano italiani probi e di condotta regolare col domicilio in Milano almeno di dieci anni».

Carlo Mira morì il 15 luglio 1885 nella località termale di Sant’Omobono di Bergamo. Fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano; per onorarne la memoria i nipoti commissionarono allo scultore Achille Alberti il profilo del defunto e il progetto della tomba.

(testo di Maria Cristina Brunati)