Beata Vergine dell’Abito in Santa Maria del Carmine (1587 – 1784)

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La fondazione della confraternita presso la chiesa di Santa Maria del Carmine annessa al convento di Porta Comasina è attribuibile alla fine del XVI secolo[: le fonti superstiti affermano infatti che solo nel 1587 “per la prima volta” si riunirono i confratelli per definirne le regole e, l’anno seguente, essi stipularono delle convenzioni con i padri Carmelitani per ottenere la concessione della cappella detta di Sant’Apollonia, ridedicata poi alla Beata Vergine del Carmine. Nel medesimo anno i confratelli e le consorelle ottennero la concessione di ampie indulgenze mediante una bolla papale, dalla quale si apprende che il sodalizio era stato da poco eretto nell’omonima chiesa dei frati carmelitani di Milano.
Ciò concorda con quanto è noto riguardo le confraternite carmelitane: mentre si ritrovano sin dai primi tempi, nelle chiese dell’ordine, confraternite mariane comuni, la diffusione degli scapolari, cospicua nel XVI secolo, portò alla nascita di confraternite “dell’Abito” che si svilupparono particolarmente dopo il 1580 e i cui aderenti, per ottenere il cosiddetto “privilegio sabatino”, assunsero molti degli obblighi dei terziari. La pratica di indossare lo scapolare, costituito da due rettangoli di stoffa congiunti da nastri con immagini sacre portati sul petto e sul dorso, si riallaccia all’episodio della visione di san Simone Stock: il 16 luglio 1251 la Vergine sarebbe apparsa al Padre generale dell’Ordine circondata da angeli e con il bambino in braccio, offrendogli lo scapolare e la promessa per chi lo indossasse del “privilegio sabatino”, vale a dire della salvezza dall’inferno e della liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato (giorno dedicato alla Madonna) dopo la morte.
Alle prime norme del 1588 seguì nel 1638 l’edizione rinnovata degli Statuti della Confraternita. La struttura organizzativa comprendeva un capitolo di quattordici deputati: un priore, un vicepriore, due consiglieri, un assistente regio, due sindaci, un tesoriere, due esecutori dei legati pii, due visitatori dei confratelli infermi, un cancelliere e un sacrista, tutti con carica annuale e nominati nel giorno di san Marco (25 aprile), ad eccezione dell’assistente regio, il cui mandato vitalizio – non previsto dagli statuti del 1588 – consisteva nel presenziare a tutte le riunioni capitolari “et occorrendo qualche accidente nel quale si tratti dell’interesse della regia giurisdittione sarà obligato darne parte a’ superiori et venendo imposto dal capitolo qualche altro ufficio o carico doverà egli ancora accettarlo”.
La scuola aveva un carattere eminentemente cultuale, che assorbiva la maggior parte delle sue rendite annue. Oltre alle processioni previste nella terza domenica di ogni mese e nella festa solenne della Madonna del Carmine (terza domenica di luglio), speciale cura era riservata alle celebrazioni in suffragio dei deputati, i quali “non havendo volsuto premio mondano restino in parte remunerati delle loro fatiche”, e dei benefattori del consorzio defunti.
L’attenzione per gli aspetti devozionali, che comportava importanti spese per il mantenimento di musici e cantanti a servizio della confraternita, si tradusse anche in cospicui investimenti nell’apparato decorativo della cappella, sui quali spiccano le ragguardevoli tele eseguite di Camillo Procaccini e una statua in marmo bianco della Madonna con il Bambino, opera di Giovanni Battista de’ Maestri detto il Volpino.
L’attività elemosiniera dell’ente era circoscritta a quanto disposto nel 1627 da Pietro Francesco Parisi, che aveva incaricato la scuola della distribuzione annuale di tre moggia di pane ai poveri e di sei doti da cento lire ciascuna ad altrettante giovani povere, tre delle quali dovevano essere scelte ad Agrate, luogo di origine del testatore, dando la precedenza a fanciulle della sua famiglia.
Come anticipato, il sodalizio era aperto a uomini e donne: i confratelli erano inquadrati nella cosiddetta Scuola dei portantini, per il loro incarico di portare la statua della Madonna nelle processioni, mentre le consorelle erano organizzate nell’Unione della Candela, denominazione dovuta all’usanza di partecipare alla processione della festa di luglio portando una candela accesa.
Nel corso dei secoli XVII e XVIII la confraternita divenne proprietaria di una decina di case e di altrettante botteghe in Milano, per la maggior parte concentrate nelle diverse parrocchie di Porta Comasina, ma presenti in buon numero anche nella parrocchie di Sant’Eusebio in Porta Nuova, di Santa Tecla e di San Nazaro in Brolo in Porta Romana, di Santo Stefano in Brolo in Porta Orientale e di San Nicolao di fuori presso Porta Vigentina. Al contempo i deputati si trovarono ad amministrare anche un consistente patrimonio fondiario extraurbano, ubicato nelle località di Cesano, Canegrate, Carugate, Cernobbio e Robecco.
Nell’ambito delle riforme giuseppine, nel 1784 la confraternita fu aggregata al Luogo pio delle Quattro Marie.

(da Guida dell’Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano2)

Bibliografia:

  • Giuseppe Fornari, Cronica del Carmine di Milano eretto in porta comasca, la quale comincia dall’anno 1250 e dura fino all’anno 1684, Milano, nella stampa del Monza per Carlo Federico Gagliardi, 1685
  • Antonio Noto, Statuti dei luoghi pii elemosinieri amministrati dall’Ente Comunale di Assistenza di Milano, Milano, E.C.A., 1948, pp. 169-186
  • Bruno Viviano, Le sedi dei 39 luoghi pii elemosinieri di Milano (1305-1980), in Antonio Noto e Bruno Viviano, Visconti e Sforza fra le colonne del palazzo Archinto. Le sedi dei 39 luoghi pii elemosinieri di Milano (1305-1980), Milano, Giuffrè, 1980, pp. 294-296
  • Fulvia Rizzato, La Confraternita del Carmine. Società, economia, culto e musica, tesi di laurea, rel. Lucia Sebastiani, Università degli Studi di Milano, a.a. 1995-1996
  • Milano. Radici e luoghi della carità, a cura di Lucia Aiello, Marco Bascapè e Sergio Rebora, Torino, Allemandi, 2008, pp. 139-141 (scheda di Daniela Bellettati)
  • Guida dell’Archivio dei Luoghi Pii Elemosinieri di Milano, a cura di Lucia Aiello e Marco Bascapè, Como, NodoLibri, 2012, pp. 109-112